Jobs Act, articolo 18 e mondo del lavoro: i sindacati sono in prima linea. Ne abbiamo parlato insieme a Pasquale Cesarano, responsabile Nidil-Cgil penisola sorrentina dal 2013, è sempre stato sensibile ai temi del lavoro. Si iscrive alla Cgil nel 2009 divenendo ben presto rappresentante sindacale di una vertenza complessa e difficile: quella dei Somministrati Inps.Mmembro del Comitato nazionale Somministrati Inps, nell’aprile del 2011 entra nel direttivo provinciale Nidil-Cgil Napoli. Nell’agosto scorso è stato eletto presidente dell’Osservatorio sulla precarietà ed il lavoro sommerso a Piano di Sorrento, unico esempio in Campania di attenzione ai temi del lavoro precario e nero.
In queste settimane si sente parlare molto di articolo 18, di riforma degli ammortizzatori sociali, di Jobs Act. Come vive il sindacato questa discussione su un’eventuale riforma del mercato del lavoro?
“Penso che una riforma del mercato del lavoro sia necessaria e non più rinviabile. E ritengo che sia anche utile alimentare un dibattito su questi temi. Un confronto che riguardi tutte le forze politiche e sociali. Tuttavia, trovo stucchevole la posizione del Governo che pensa di poter rimettere in moto l’economia abrogando diritti e tutele. Io proverei ad uscire fuori da un equivoco: il Governo intende confrontarsi seriamente su una proposta di riforma del mercato del lavoro oppure vuole solamente abrogare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori? Il Governo intende ridurre le tipologie contrattuali o semplicemente vuole inserirne una nuova (il contratto a tutele crescenti ndr)? Il Governo intende estendere a tutti diritti e tutele oppure eliminare diritti e tutele per tutti? Ecco, è questa la vera sfida. Io penso ad esempio, ed è una proposta della Nidil-Cgil, che lo Statuto dei lavoratori vada esteso a tutti. Occorre anche rivedere un nuovo sistema di welfare. Oggi il 48% dei lavoratori a tempo determinato, cessato il contratto, non ha alcun tipo di sostegno al reddito. Come Nidil abbiamo detto una cosa chiara: non è più rinviabile l’introduzione di un reddito minimo, strettamente collegato alle politiche attive del lavoro”.
Il premier Renzi ha utilizzato parole al vetriolo anche nei vostri confronti. È l’ennesimo attacco dell’estabilishment politico oppure anche il sindacato è stato incapace di adeguarsi ai cambiamenti della società?
“Credo che Renzi sbagli quando lancia anatemi ed attacchi al sindacato. Mi fa sempre riflettere quando un autorevole esponente delle Istituzioni ‘naviga’ nel fango del populismo e del qualunquismo. Penso che la complessità dei tempi moderni richieda un’analisi maggiormente approfondita, finanche sulle cause che hanno determinato questo stato di cose. Non voglio nascondere i limiti del sindacato, che pure ci sono. Ma le difficoltà di una categoria come la nostra, ad esempio, dipendono da una carenza nell’azione sindacale o viceversa dalla pletora di contratti atipici? La mancata inclusione di una fetta importante dei lavoratori dipende dalla Cgil oppure dal fatto che il partito trasversale della precarietà ha posto in essere le moderne riforme del mercato del lavoro, con la promessa del sogno di un lavoro flessibile repentinamente trasformatosi nell’incubo di un lavoro precario? La verità è che mentre la Cgil indicava la luna la politica guardava il dito. Da tempo diciamo che queste riforme hanno una scarsa azione riformatrice. Da tempo diciamo che la crisi la deve pagare chi finora non solo non ha pagato, ma si è anche arricchito. In che modo? Introducendo, ad esempio, la patrimoniale. Siamo gli unici che hanno scritto un Piano del lavoro, dando un contributo di idee sostanzialmente disatteso”.
Cosa risponde a chi vi accusa di difendere solo i garantiti e non anche i precari?
“È singolare che una domanda del genere venga rivolta ad un sindacalista della Nidil, il sindacato dei lavoratori atipici. Io penso che non dovremmo cadere nell’errore di ridurre un po’ troppo semplicisticamente la questione. Certo, nel moderno mercato del lavoro esistono i precari, ma stento a vedere gli ipergarantiti. Chi sarebbero gli ipergarantiti? Sono per caso quelle commesse che lavorano negli esercizi commerciali con contratti da associazione in partecipazione ed in realtà sono lavoratrici subordinate? Sono per caso quei lavoratori a tempo indeterminato di una ditta di pulizie il cui destino salariale e lavorativo cambia al cambiare dell’appalto? Sono per caso quei muratori che a causa dell’ultima riforma delle pensioni dovranno salire sulle impalcature sino ai 67 anni d’età? Sono per caso i lavoratori delle multinazionali licenziati via fax perché l’azienda intende delocalizzare la produzione in Serbia, nonostante qui in Italia sia in attivo? Sono per caso gli operai della Fiat che debbono ubbidire ai diktat di Marchionne? Ribadisco: non vorrei che dietro ad una callida divisione tra lavoratori di serie A e serie B ci fosse la volontà di ridimensionare tutti a lavoratori di serie C”.
Intanto, però, gli iscritti calano un po’ ovunque. Questo vuol dire che c’è una crisi diffusa della rappresentanza che riguarda il sindacato?
“Guardi, voglio dirlo senza infingimenti: esiste una crisi della rappresentanza che riguarda tutto il sindacato, senza distinzioni. Ed aggiungo: penso che il sindacato vada ricostruito. Credo ad esempio che le Camere del Lavoro debbano ritornare ad essere presidi di democrazia territoriali in cui, grazie al confronto, elaborare proposte. Queste cose Nidil non solo le ha dette, ma ha avuto anche il coraggio di praticarle. Nidil, nonostante sia una piccola categoria, è presente su molti territori: promuove gazebo, organizza iniziative. È tra la gente perché crede nella gente. Dobbiamo ritornare ad essere nei territori e sui luoghi di lavoro e non rinchiuderci sindacato nelle nostre stanze”.
Ma allora quali strade dovrebbero percorrere i sindacati per difendere e rafforzare il proprio ruolo?
“Il sindacato deve avere il coraggio di osare, di sfidare l’aridità dei tempi moderni attraverso le proprie idee, formulando proposte. Noi lo stiamo facendo. Abbiamo avviato la campagna Lo voglio anche io! per estendere lo Statuto dei lavoratori a tutte le tipologie contrattuali e ribadire la necessità di dare diritti e tutele a tutti. Ancora oggi sono in troppi quelli che non hanno Contratti Collettivi di riferimento, quelli che non possono guardare allo Statuto pensando di poter essere da quest’ultimo rappresentati e tutelati. La vera sfida, oggi, è includere. Nonostante il quadro normativo difficilissimo, credo che il sindacato debba lottare per rendere inclusiva ogni forma di aggregazione. Viceversa, ogni sforzo prodotto rischia di apparire vano. Sotto questo punto di vista, può essere utile recuperare ciò che storicamente abbiamo sempre fatto e cioè collocare al centro del movimento sindacale una figura di riferimento. La Cgil è riuscita a farlo: prima coi braccianti e poi con gli operai nelle catene di montaggio. Bene! Oggi, se vogliamo inaugurare una stagione del cambiamento e ripartire dal lavoro, che allo stato è merce povera, dobbiamo rimettere al centro della nostra azione i precari, tutti coloro cioè che vivono tra improbabili promesse ed ipotetiche opportunità”.
Andrete in piazza il prossimo 25 ottobre. Per dire cosa? Ed a chi?
“Innanzitutto intendo precisare una cosa: la manifestazione del 25 ottobre prossimo non è contro qualcuno, ma per qualcosa. E non andremo in piazza solo per difendere l’articolo 18, quanto per ribadire l’urgenza di attuare delle riforme inclusive e globali. Ciò detto, credo che il 25 ottobre debba essere un primo importante momento di riflessione sui temi del lavoro, dei diritti, dell’ambiente, dei giovani, del precariato, degli anziani, della lotta agli sprechi ed alle disuguaglianze, degli ammortizzatori sociali. Un momento che deve necessariamente svilupparsi in più fasi ed attraverso il dialogo continuo con quelle forze politiche, le associazioni, i movimenti che come noi puntano alla centralità del lavoro vero. La manifestazione di piazza San Giovanni a Roma, infatti, deve essere solo un primo momento di condivisione di un percorso che rivaluti il tema del lavoro e rimetta al centro la dignità della persona e l’emancipazione di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori”.
Francesco Ferrigno