Il ritorno della canapa

Campo-Canapa-11Un aumento del 150% dei terreni coltivati a canapa nel 2014 rispetto all’anno scorso, è quanto emerge dal primo studio sulle potenzialità economiche e occupazionali della coltivazione, trasformazione e distribuzione della cannabis sativa presentato lo scorso 19 ottobre al Forum internazionale dell’agricoltura e dell’alimentazione di Cernobbio. Nel 2014 sono raddoppiate le aziende agricole coinvolte nella coltivazione di canapa, dalle 150 del 2013 sono aumentate infatti a circa 300 di quest’anno, con il conseguente aumento degli ettari coltivati in Italia che da circa 400 sono diventati 1000, con campi di canapa che fanno capolino dal Friuli alla Sicilia, passando per la Sardegna. Un ritorno al passato spinto dalle molteplici opportunità di produzione che offre questa coltura estremamente versatile e dalla quale si ottengono dai tessuti ai materiali edili, prodotti alimentari, ma anche olio, vernici, saponi, cere, cosmetici, detersivi, carta o imballaggi. La canapa fornisce da millenni un’ottima fibra tessile, è stata infatti coltivata in epoche storiche antiche in Asia e il Medio Oriente e la produzione commerciale in occidente è decollata nel XVIII spinta dall’ espansione coloniale e navale dell’epoca. Le grandi flotte necessitavano di immense quantità di canapa per corde e stoppa. La coltura della canapa per usi tessili ha una antica tradizione anche nel Belpaese, dove veniva usata fin dall’antichità.

Fino agli anni ’40 le coltivazioni di canapa erano più che diffuse in Italia, tanto che il nostro paese con quasi 100.000 ettari era il secondo maggior produttore di canapa al mondo (dietro soltanto all’URSS). Il declino è arrivato per la progressiva industrializzazione e l’avvento del “boom economico” che ha imposto sul mercato le fibre sintetiche, la cui produzione a discapito della canapa è stata agevolata da una campagna di demonizzazione della stessa giustificata da fittizi obiettivi a contrasto degli stupefacenti. Importanti studi dimostrano come la proclamazione di leggi proibizionistiche nei confronti della cannabis sativa negli Stati Uniti prima della seconda guerra mondiale è stata provocata dalla concorrenza tra la nascente industria petrolifera e la consolidata usanza dell’epoca di usare l’olio di questa pianta come combustibile per i motori Diesel, dalla concorrenza tra la nascente industria cartiera e la consolidata usanza dell’epoca di usare la fibra di questa pianta per la produzione di carta, e dalla concorrenza tra la nascente industria tessile basata sulle fibre sintetiche sia per la produzione di cordami sia di tessuti. ll Governo italiano seguendo pedissequamente la politica americana, o più precisamente le esigenze delle potenti lobbies d’oltreoceano, nel 1961 sottoscrisse una convenzione internazionale chiamata “Convenzione Unica sulle Sostanze Stupefacenti” (seguita da quelle del 1971 e del 1988), in cui la canapa sarebbe dovuta sparire dal mondo entro 25 anni dalla sua entrata in vigore. Nel 1975 entra in vigore la “Legge Cossiga” contro gli stupefacenti, sancendo la scomparsa definitiva delle ultime coltivazioni. Niente di più sbagliato, di più controproducente e ne è prova il fatto che oggi gli Stati Uniti sono i principali compratori a livello mondiale mentre i maggiori produttori  nel 2013 sono stati Francia e Cina.

Un paradossale  ritorno al passato  per  gli americani, gli stessi che all’epoca hanno avallato  a livello globale  il tramonto della canapa, a favore dei prodotti superinquinanti  delle loro industrie che stanno ancora uccidendo l’ambiente globale. Oggi le Istituzioni nostrane sono consapevoli dell’esigenza di creare un quadro legislativo di minore rigidità che possa valorizzare le caratteristiche distintive della canapa italiana e recentemente sono state presentate in Parlamento ben tre proposte di legge che dovrebbero convergere in un testo unificato sul quale sono state anche avviate audizioni informali degli esperti. La legislazione in materia è attualmente disciplinata da alcuni regolamenti comunitari mentre la coltivazione industriale in Italia è consentita da unacircolare ministeriale del 2002, che, prendendo atto dell’inserimento della canapa destinata alla produzione di fibre nel sistema di sostegno comunitario, consente la coltura alle seguenti condizioni: contenuto di tetraidrocannabinolo (THC) inferiore allo 0,2%; utilizzo di sementi certificati iscritte negli appositi registri; controlli impiegato da Autorità competenti per rilevazione tasso THC; denuncia semina al locale posto di P.S.

 L’assenza di una legislazione unitaria e più flessibile impedisce tuttavia grossi investimenti, e al momento si assiste soprattutto all’aumento delle piccole produzioni assistite da associazioni  di settore. A Conversano, in Puglia, esiste ad esempio una promettente realtà quella dell’associazione “CanaPuglia”. La Cannabis sativa utilizzata da CanaPuglia è una varietà certificata e selezionata per avere un trascurabile contenuto di Thc, e pertanto ne è consentita la coltivazione. La canapa diventa, in questi tempi di crisi soprattutto ambientale, una finestra su un futuro possibile e porta con sé, grazie alle sue numerose virtù, la speranza di un profondo rinnovamento culturale. Grazie ad un finanziamento ricevuto dalla Regione Puglia nel 2010, i ragazzi di CanaPuglia, quasi tutti sotto i trent’anni, hanno potuto investire in un primo campo sperimentale insieme agli agricoltori locali. In pochi anni hanno raggiunto significativi successi: una rinnovata attenzione e sensibilizzazione nei confronti delle virtù della canapa, la nascita di una piccola linea alimentare e di una rete di sostenitori, agricoltori e rivenditori distribuiti su tutto il territorio regionale. L’altro problema riguarda i costi di produzione, il costo di una macchina per la trasformazione va infatti dal milione al milione e 700 mila euro. Il problema degli impianti attuali è che sono troppo piccoli e servono macchine più grandi.

Dal punto di vista ambientale poi  non va trascurato il fatto che la canapa è un’ottima pianta per la bonifica dei terreni inquinati ma va precisato che funziona bene solo con le sostanze  inorganiche e non è una panacea  contro tutti gli inquinamenti, infatti non bonifica molte delle sostanze derivate dai metalli pesanti. La buona notizia è che anche la canapa utilizzata per bonificare potrebbe poi essere impiegata per produrre materiali per l’edilizia, vestiti, oggetti (vietatissimo in tal caso l’uso alimentare) perché i residui si concentrerebbero nelle foglie e non nel fusto che invece viene lavorato.  La canapa serve a produrre praticamente qualunque cosa (oltre  25 mila sottoprodotti e prodotti), ed è una pianta definita da chi la lavora e la coltiva una sorta di maiale della botanica: qualcosa di cui non si butta via nulla.  Prodotti di grande qualità, ad esempio i pantaloni, i vestiti e in genere i tessuti di canapa sono resistentissimi .

Considerando che l’altezza delle piante è variabile e arriva mediamente fino a 5 metri, i costi imputabili ad un ettaro coltivato si aggirano tra 900 e 1000 euroI ricavi della vendita dei prodotti agricoli, paglie e semisarebbero mediamente di 2400 euro, lasciando quindi all’agricoltore un margine lordo di circa 1400 euro. Questi risultati economici sono alla portata della maggior parte delle aziende agricole che operano in Italia, ma ci saranno differenze significative in più o in meno dipendenti da alcune variabili e cioè qualità e preparazione del suolo, scelta della varietà, epoca di raccolta, efficienza delle macchine e perizia degli operatori, andamento climatico.La canapa è dunque la risposta a molti dei problemi che l’era del petrolio infligge al nostro pianeta e alla nostra salute. Le risorse di questa pianta, ben note in passato, possono essere più che valide alternative a molti dei nostri beni di uso quotidiano. Possono essere ricavati migliaia di prodotti diversi e tutti sostenibili, senza contare la capacità di stoccaggio di anidride carbonica decisamente superiore a quella delle foreste, di miglioramento del terreno, che la rendono un valido strumento per le bonifiche di molte aree inquinate. Una inesauribile fonte di opportunità per raggiungere reddito e occupazione nel rispetto dell’ambiente, permettendo ai giovani di restare a vivere, e lavorare, nella propria terra.

Carmine Iovine

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