E’ annunciata anche la presenza degli altri quattro coprotagonisti. Salvatore Striano, reduce da “Cesare deve morire” dei fratelli Taviani, Salvatore Ruocco, Carmine Paternoster e quella poliedrica figura di autentico assoluto artista ed intellettuale – non a caso nel film è “ ‘u sciòmen”- tra teatro, letteratura, cinema e canzone, che risponde al nome di Peppe Lanzetta.
L’incontro segue la visione avvenuta venerdì scorso, in assemblea quasi plenaria, al Cinema Politeama, location più che appropriata per una scuola che fa dell’indirizzo “Audiovisivo- multimediale” uno dei suoi punti d’eccellenza, anche operativamente, in considerazione del gran numero di corti e documentari prodotti. A tal proposito va rimarcato che l’evento costituisce l’occasione concreta, per tanti giovani, di confrontarsi col mondo del cinema, colto non nella sua dimensione divistica, “mitopoietica” verrebbe da dire scimmiottando, anzi balbettando, il linguaggio dei critici laureati, ma in quella più propriamente umana e professionale. Quella dimensione che lo individua come una sorta d’artigianato d’arte che si predispone al capolavoro, dove il talento, la passione degli addetti ai lavori, dal regista agli attori, dal produttore ai tecnici, agli attrezzisti sono inversamente proporzionali ai mezzi economici a disposizione.
L’occasione di un’autentica lezione di vita, e, considerando il background di alcuni dei presenti, da declinare nel senso della speranza.
Ma, attenzione, non la speranza fatalistica di una Napoli da cartolina, ma quella nutrita di valori quali il carattere, la determinazione, la paziente ostinazione, la confidente volontà, il feroce esercizio dell’impegno. Tutte doti tradizionalmente non attribuite ai napoletani, ma che, a ben vedere, costituiscono la parziale traduzione in lingua, ed in inefficace sintesi, di un termine intraducibile quale “cazzimma”.
Quella che abbinata alla passione e al talento consente a tutti di poter sognare il proprio sogno, di individuare la giusta opportunità, di cogliere la propria occasione. Perché, a mancare, a Napoli, come dice Di Vaio, in chiusura del suo documentario, troppo spesso è l’occasione, non certo il talento, troppe volte però sprecato, quando non buttato via, insieme con la propria vita, per una strada sbagliata, per un esempio da non seguire, per disvalori assorbiti in quel deserto di povertà morale, al quale uno stato civile come il nostro pur continua a condannare i propri giovani, la sua speranza di domani. Colpevolmente.