Che mi giro. E mi rigiro. Non trovo pace.
Sudo. Giuro che ci soffro.
Il cuscino lo sa. Che tutta la notte, c’ho fatto la lotta con la testa.
Nel letto.
Pensieri. Senso del dovere. Quello civico.
Quello c’è rimasto. Che quello di voto s’ è capito. Prima coi posti di lavoro. Poi coi pacchi di pasta. Ora con le televendite e le slides. È sempre più un teatrino. Di Pulcinella e Arlecchino. Una domenica al mare mancata. Panna montata. Una farsa.
E poi mi urla la coscienza. Maledetto senso di colpa.
Se non avessi aperto la posta dell’ufficio l’altra mattina…
E c’ho davanti agli occhi quella mail di venerdi’ 24 ottobre 2014.
Mittente FP-CGIL MEF.
Oggetto: Alle lavoratrici e ai lavoratori del MEF.
“Vi comunichiamo che per l’appuntamento per la Manifestazione Nazionale della CGIL di Sabato 25 ottobre è alle ore 8,30. In piazza della Repubblica”
Quella mail l’ho stampata. E l’ho gettata subito sulla scrivania. Tra note, appunti e stampe di Disegni di Legge. Carta tra altre carte.
Lo diceva Percy Allum mentre mi accompagnava nei passi coi suoi sandali. A Cappella Pappacoda. Il giorno della mia seduta di laurea. Girando in tondo per largo San Giovanni: <<l’Italia non guarirà mai. Ci sono troppe carte. È il paese delle Carte.>>
Che poi il Professore era inglese eppure lo riconosceva che la nostra è la più bella d’Europa. Un respiro laico profondo. Se la leggi e ci credi è come andare in Chiesa. Te la metti sul petto. E con gli articoli più belli, quelli dei diritti e le libertà fondamentali, ti senti rinnovato. Come la prima comunione. Ripulito. Nello spirito. E nel corpo.
E il letto così diventa luogo di conquista di una coscienza politica. Mia e collettiva.
Ma io ci vorrei davvero parlare con il mio collega sindacalista.
Come facciamo qualche volta nel sottotetto. Mentre accendiamo, di nascosto dalle regole e di tutto l’ufficio, la sigaretta.
Ci vorrei parlare. Sul serio. Da donna. Del Sud. Che è parte di quel popolo che è cresciuto da Roma in giù.
Che ha sempre saputo che non avrebbe mai lavorato nella propria terra. Che l’Italia è Roma citta’ capitale. Che il Sud non conta. Pure se ci fanno i film. Di Salvatores. O sulla passione. Di Cristo e non. Le pubblicità di Dolce&Gabbana. E le vacanze. I signori ricchi del Nord. I russi. E ormeggiano gli yachts. Gli americani.
Che il Sud è tagliato fuori dalle cartine ferroviarie. Che l ‘alta velocità si ferma a Napoli Centrale. Che il Sud è ancora una volta dimenticato nella ripartizione dei fondi Sblocca Italia.
E che invece ci hanno fatto studiare che l’economia di un Paese gira sulle reti di trasporto e sui binari.
Lo sanno bene la Polonia e quelli dell’Est che con gli ultimi finanziamenti dell’UE si sono infrastrutturati. E già evoluti.
Ci vorrei parlare. Tanto col mio amico sindacalista.
E gli vorrei dire che noi nati sotto l’ombelico dell’ Urbe abbiamo occhi che hanno visto tutto. Pero’ nessuno ci frega. Che’ lo sappiamo che Roma è Mafia. Che c’abbiamo pure il Presidente che sulla trattativa Stato Mafia verrà interrogato. Ma che a molti quaggiù è pure assai convenuto.
Lo so. Una parte di coscienza mi dice che dovrei scendere in Piazza. A San Giovanni. Con i colleghi a manifestare. Per l ‘art. 18.
Contro Renzi. E Poletti.
La politicizzazione del dinamismo associativo avveniva agli inizi secolo – m ‘insegnarono in un’aula universitaria una volta – nel nome di un’ideologia socialista.
E il passaggio dal mutualismo alla resistenza fece nascere il Partito Operaio.
Si’ è vero. Non sono un’ ape operaia. E neanche proletaria. Se essere proletaria vuol dire avere a carico qualche prole. E qualche detrazione a favore.
Che l’incertezza e la precarieta’ viaggia pure sull’asse affettivo-relazionale. Amori sbagliati. E mal finiti. Con le distanze. E la crisi. Che né è piena la letteratura contemporanea. Oltre la strada. La vita quotidiana.
Gli vorrei dire alla CGIL, e alla Camusso che sono napoletana. Che lavoro fuorisede. Che qui il lavoro non c’è mai arrivato. E che quei pochi posti nei mitici anni ’80- ’90 sono stati preziosissima merce di scambio.
Sono un’ impiegata. Laureata. Plurispecializzata. Come tanti. Come troppi.
Che a sentir la gente e la crisi sono anche una miracolata. Che ho la busta paga.
Che ho vinto concorsi. E che sono contrattualizzata con l ultimo CCNL 2009.
Che vogliono chiudere i Ministeri alle sei del pomeriggio. Perché noi che non arriviamo a 1450 euro al mese siamo lo spreco di luce e di carta. Che se si taglia con noi si attua la più grande Spending Review del secolo.
Siamo noi che abbiamo rovinato gli italiani. E l ‘Italia.
Che a Roma un monolocale 20mq ti ruba una tasca.
E a fine mese la politica, il sindacalista lo sa cosa ci resta?
Gli 80 euro di Renzi. Che paghiamo noi. E con gli interessi… Iva, Irap, benzina, bollo auto, regime minimi e Tfr. E patate fritte.
Che io non mi sento più cittadina. Che se pure c’e’ Fassina, chi lavora per la sopravvivenza non si sente tutelato. Che non ci credo che esistono due sinistre.
Che non voglio essere spettatrice di uno show. In onda direttamente dai garage. E dalle piazze.
Disgustoso. Cafonal. Trash. Fatto di Berlusconi che si prostituisce coi trans. Che ballavano alla Mucca Assassina.
E Barbara D’Urso che fa’ marchette con un Renzi, che l’ antropologa Amalia Signorelli chiama il cretino vestito da bambino.
E mentre alla Leopolda e in Parlamento fanno leggi, convegni, lanciano per aria bandiere e palloncini, l’ economia non gira. Perché nessuno ci dirà mai la verità. Che l’economia reale e il mercato del lavoro non li fanno le leggi, ma il profitto, la competenza, la professionalità e la produzione. Non la bella o la malavita.
E mentre i sindacalisti, Napolitano, Dudu’, la Marcegaglia, la Sogesit e il Presidente del Consiglio dei Ministri fanno gli attori nel circo politico degli orrori, gli aerei per l ‘Inghilterra, l’Australia, la Nuova Zelanda sono pieni di fuga di cervelli.
Che solo all’estero si sentono italiani. Per la cucina, l’arte, la storia e i panorami.
Mi giro. E mi rigiro nel letto.
L’appuntamento era previsto alle 8,30.
Con Civati. E con una sinistra che è diventata un mostro a due teste.
Io a Roma ci vado col treno. Ogni mattina.
Per lavorare. Non ho una casa. Vivo – quando ci riesco – con i flat mates. Oggi, domani, non avrò una pensione. Forse.
Sono fortunata. Sono in una categoria che in sociologia chiamano Working Poors. Lavoro a 250km dalla mia città.
I miei amici sono andati via. Dall’Italia.
E li vedo solo in foto su FB. In bacheca.
All’appuntamento in piazza poi non ci sono mai andata.
Mi sono passata la mano sulla coscienza.
Quando ho ascoltato in tv Sergio Rizzo – tra gli invitati Mentana – che diceva sulle norme del Patto di stabilità che prevedono la proroga alle concessioni autostradali, senza bandi, senza gare, ne ho avuto conferma.
Il 25 ottobre ho fatto bene. A non andare in stazione. Di sabato poi ancor meglio a riposare.
Li’ è un posto pericoloso. Ci vivono i clochard, i working poors come me, e i renziani.
americani.
Ornella Scannapieco