“Dite: è faticoso frequentare bambini…”

unicefIn una stanza.
Piena di giochi. Barbapapà gonfiabili. Rosa e gialli. Di tutti colori.
Ci sono trenini, mostri, Lego e pallottolieri.
E spade da cavalieri, che salvano le principesse. Il mondo, i pianeti e tutto l’Universo.
Libri di favole. Ovunque sparsi. Dimenticati aperti. Dalle notti passate. Che sono state raccontate. E poi concluse. Con Sogni D’oro. Happy Ending. E tutti vissero felici e contenti.
E intorno mura tappezzate di disegni. Pitture astratte; geometriche, dirompenti. Non curanti delle leggi della natura. E della figura umana.
Opere sapienti. Di una vita piccola. Messe lì col bristol e nastri adesivi.
Di dita sporche di colore. Schizzi. Che c’è dentro tutto il modo di essere bimbi. Ai primi passi nel mondo.
Mio nipote mi guarda. E ride felice.
Conosce Hercules. Le avventure di Nemo.
E col muso schiacciato ai vetri della sua stanza, vede il mondo fuori. Pilota di una grande nave. Dal suo oblò. Pieno di pesci.
Troppo complicato spiegargli che in greco la parola “pesce” è un acronimo per indicare quel Gesù, che abbiamo visto sui presepi dei mercatini natalizi. Già allestiti. Per le strade della Brianza. Prima del freddo. Prima della neve.
E ancor di più che in questo messaggio d’amore non esiste solo Gesù bambino; ma anche Erode.

Che pure Erode è nato bambino.
Che poi il tormento, la paura, il potere; l’uomo nero e i demoni dentro gliel’ hanno fatto dimenticare. E in un solo boccone, mangiare.
Non mi va di raccontargli che cosa c’è scritto nei Vangeli. Della strage degli innocenti.
Nonostante la stella cometa. E i doni dei Magi. Del lamento di Geremia. Per bocca di Rachele.
Non riesco a guardarlo negli occhi e spiegargli che ci sono bimbi che nella notte degli orrori ci sono stati buttati dentro.
Anche dopo millenni.
Anche se a Settembre scorso la Convenzione sui Diritti del Fanciullo ha compiuto 25 anni.
Anche se all’art. 14 il mondo davanti al mondo si è impegnato a garanzia e tutela di un’ infanzia serena. E ha messo per iscritto che nessuno deve far alcun male ad un bambino. E che bambino alcuno deve essere vittima di violenza. Ne’ abusi. O negligenza.
E che i genitori e gli adulti tutti hanno il divieto assoluto di violentare l’età dell’ innocenza.
Come gli faccio a spiegare a mio nipote che la norma lo vuole titolare di diritti civili, sociali e culturali. Esattamente come gli adulti.
E che nel mondo di quelli più alti ci sono adulti e adulti. E dargli di questi adulti un’immagine unica. Sola. Coerente.
Adulti come Maurice Pate. Che – negli anni del secondo dopoguerra – a capo dell’ Unicef pose come condizione che l’organizzazione avrebbe dovuto impegnarsi a sostenere tutti i bambini. Sia dei Paesi dei vincitori. Che dei vinti.

E poi ci sono adulti che sembrano i cattivi venuti fuori dalle pagine delle fiabe. Che inorridiscono i bambini. Che viene la tensione muscolare, il sudore, l’accellerazione del battito cardiaco. La paura. Gli incubi. La notte.
E che fanno indignare gli altri adulti. Che fanno rabbia. E che vanno oltre ogni legge immorale. Che non c’ è nessuna norma o giustizia che possa in qualche modo riparare.
Ci sono adulti, che sono l’ Orco di Pollicino che divora i suoi figli. Che in Siria è lo stesso Governo; l’esercito nazionale che compie questa barbarie. Responsabile di arresto e detenzione arbitraria di minori. E che nelle guerre li utilizza come scudi umani.
O la Regina delle Nevi che rapisce i ragazzini. Che vivono per le strade. In Uganda i bambini subiscono violenze, abusi sessuali, e maltrattamenti fisici e morali dalla polizia locale. Dalle autorità. Da chi dovrebbe invece proteggerli.
Che ci sono adulti che sono la Regina di Biancaneve. Che non sopportando che una donna giovane potesse rubarle la bellezza e il piacere del peccato, ordinò che le fosse strappato il cuore.
Ferite fisiche. E cicatrici psichiche.
Indelebili. Cucite da bambine.
Secondo l’ WHO sono più di cento milioni le donne – di cui la maggioranza minorenni – che hanno subito mutilazioni genitali.
Con pratiche dolorosissime. E senza dover gridare. Perché farlo sarebbe una vergogna sociale per i loro genitori.
Che ci sono adulti che i bambini se li vendono. In Congo. Come in molti paesi dell’Africa centro – orientale. Li fanno drogare. Li costringono alla fame. A lunghe marce forzate. Ai massacri. E i raid nei villaggi. A violenze feroci e fratricide. E morire, in guerre ingiuste, con un mitra in mano.
E alcune sono pure bambine. Con un ruolo di combattenti attive, informatrici, spie, corrieri e infine schiave sessuali.
Mio nipote intanto fa le bolle di sapone. Lo guardo mentre corre ad acchiapparle. Come se fossero farfalle. Chiude e apre le manine. Ad afferrarle.
Io l’abbraccio forte. È un suo diritto. Quello all’amore.
E dovrebbe esserlo per tutti i bambini. A fronte di un obbligo universale.
“Ogni 5 minuti un bambino muore per una violenza. Non esistono vaccini. Ci siete solo voi” .

La responsabilita’ è nostra. E’ del mondo dei grandi. Dice il nuovo spot inglese UNICEF. Che nell’ultimo rapporto evidenzia che 340 persone sotto i vent’anni muoiono ogni giorno per violenze. Subite nelle strade. Nelle case. Tra le mura domestiche. O dentro una sacrestia. Più vittime che nelle guerre.
I giornali ne parlano. I tg pure. E le trasmissioni pomeridiane per casalinghe. Davanti ad un pollo nel forno. O al vapore di un ferro da stiro. Ora si parla di Yara. Poi della piccola Fortuna di Caivano. Del parroco suicida a Trieste. Qualche giorno fa’.
Ne parlano Giletti. Altri conduttori. E la Parodi sulla prima rete. Che suo marito è amico del Premier. E fa audience. Perché ci mette come sfondo qualche quartiere disagiato. Soccavo. Scampia. Ponticelli.
Poi facciamo beneficenza. E lasciamo il 5 per mille. Per qualche associazione. Che costruisce scuole. Ponti. Reti idriche. In favore di qualche Paese africano o sottosviluppato.
Facciamo adozioni a distanza. Regaliamo bomboniere equo solidale. E la pigotta Unicef che compriamo dalle signore per bene nelle vie del centro. Tutte illuminate per le feste di Natale.
E il problema è arginato. Come l’ebola. Isolato. Allontanato.
Non si vede nel proprio piccolo orto. E allora mettiamo la testa sotto il terreno. La insabbiamo. Come gli struzzi. E l’orrore non esiste più.
Poi scopriamo che a Rotherham, un paesino dello Yorkshire – nell ‘Inghilterra ricca di Manchester e Oxford – dal 1997 ad oggi sono stati 1400 i casi di abusi a danno di minori. Coinvolti in violenze di gruppo, orge, silenzio e omertà. Vergogne di cui molti sapevano e nessuno parlava.
E che l ‘inferno – come ha dichiarato il Times – non è ancora finito.
Ma poi la notizia scorre, come un ticker al telegiornale delle cinque. Veloce. All’occhio. E alla memoria. E come sempre dimentichiamo i nostri doveri di grandi. Le nostre colpe.
E Marwan, 4 anni, in fuga dalla guerra siriana, col deserto alle spalle e tutta la sua vita in una busta di plastica resta niente più che una fotografia. La fotografia dell’ennesimo fallimento di un accordo di pace.
Come gli spiego ad un bambino che stringo fra le braccia che invece non ci sono zone di guerra e zona di pace; non ci sono Paesi, cultura, società. Che non c’è appartenenza a nessuna di queste cose. E che il diritto alla vita, all’ integrità, alla salute, al benessere fisico e psichico sono diritti sacrosanti, inviolabili. Fondamentali. Come bere, dormire, mangiare. Giocare. Crescere tra i banchi di scuola. In una famiglia. Al sicuro.
Diritti essenziali. Innati. Naturali come i ritmi che scandiscono la sua piccola vita.
E che nell’infanzia, nella sua dimensione; nel suo scorrere naturale c’è il seme della nostra speranza. Di un mondo nuovo. Forte nella delicatezza del sentimento.
“Carichiamo (l’infanzia) del fardello dei doveri dell’uomo di domani, senza riconoscerle alcuno dei diritti dell’uomo d’oggi.” Scrive Korczac.
Oggi è un giorno di festa. Al mio piccolo uomo lo voglio lasciare in pace. Non voglio caricarlo di un pensiero dell’uomo che sarà. Ha diritto allo svago. A giocare. A ignorare.
E c’ è rispetto – dice Korczac – pure per questo suo ignorare.

Ornella Scannapieco

Di seguito la poesia di Janusz Korczak, conosciuto come il poeta dei bambini. Mori’ in un campo di sterminio insieme ai bimbi del suo orfanotrofio

Dite:

è faticoso frequentare bambini.

Avete ragione.

…Poi aggiungete:

bisogna mettersi al loro livello,

abbassarsi, inclinarsi,

curvarsi, farsi piccoli.

Ora avete torto.

Non è questo che più stanca.

E’ piuttosto il fatto di essere obbligati ad innalzarsi

fino all’altezza dei loro sentimenti.

Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi.

Per non ferirli.

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