Gelato al cioccolato, dolce e un po’ salato

pupo

Mi verrebbe da dire: “ma se non è una cosa seria perché la pubblichi pure tu?”
Che alla Madia piace il cono gelato. E che c’è qualche imbecille che l’ha fotografata.
In una porno-galleria di scatti al gusto crema e cioccolato.
Molti direttori decidono, invece, di pubblicare la loro indignazione. E offrire al lettore tutto il letamaio senza alcun pudore. Alcuna reticenza.
Senza porsi il problema di entrare nella vita della gente. E che se proprio è in essa che ci si vuole addentrare, ci sarebbero ben altri modi per informare. Senza sporcare. Ne’ con gocce di gelato. Né con fiumi di fango.

Tutti lì. Mondo politico e mondo delle donne. In fila. Come soldati. Eccitati come guardoni. E a far finta di difendere i diritti e la dignità della Donna. In uno spettacolo di vizi capitali che fa parlare Signorini di due pesi e due misure. Del cono gelato e del Calippo. Dell’Algida e della signora Pascale.

E davanti a questo tam tam di polemiche, rivolte e solidarietà in rete e sentite scuse del direttore, c’è tutta l’ipocrisia di un Paese, in cui politica, società e informazione hanno fatto corto circuito. Come un flipper che si è bloccato. Ha azzerato tutti i suoi punti. E va in tilt.
E giù con una bufera mediatica di foto di ragazze di tutte le età che leccano gelati e milioni e più di hashtag “Ci so fare anche io”.

E mi viene da pensare. Che forse non ho capito bene. Che certo che il gelato lo so mangiare anch’io. Sia col cono granellato. Che con la coppetta. Piena di panna.
Prima o poi qualcuno mi dovrà spiegare se questa poi è provocazione. O solo frutto di un genocidio culturale.
Leggere un gesto quotidiano, come quello di mangiare, come se fosse un giornaletto porno. Di nascosto. In un’aula liceale.
Se twittare contro la maleducazione sessuale ha la stessa valenza che ebbe un tempo lanciare reggiseni per aria.
Se questo è davvero provocazione.

In un Paese devastato dalla corruzione, che cade a pezzi e si muore per colpa di un cornicione o di un’alluvione e ti prendono a bastonate perché vuoi lavorare, che senso avrebbe oggi gridare in piazza “Né puttane, né madonne, siamo solo donne”.

Ho come l’impressione che qualcuno voglia riattualizzare questo modo manicheista di intendere le donne. Per farle arretrare. Svilire. Ad una miseria femminile. Che pensavo fosse già superata.
Mi sento frastornata. Un po’ confusa. Ma non c’era la libertà sessuale? Non si è battagliato per anni per l’identità di genere? E ora pure di trans-genere?
Non voglio essere solidale, se si sprecano pagine di giornale intorno ad argomenti degni di filmetti osé alla Pierino e la signora maestra.
Si fa offesa alla nostra intelligenza.
Che essere donne non vuol dire rinunciare al rossetto. O al sesso. O abusarne. O farne una lezione di moralità. E fare tanto meno una crociata contro chi si è compiaciuto a ridicolizzarlo per un astuto momento di pubblicità. Su un giornale da Coiffeur per signore.

Mi chiedo con quale coerenza s’indignino certe presunte neo-femministe. Perché lo sanno vero della Ministra, dei tagli alle spese, del mancato turnover, della mobilità esasperata e della possibilità di demansionamento? E che mentre lei mangia dolci, per noi c’è l’amaro retrogusto dell’estensione dei blocchi contrattuali?
Non è di questo che le donne, madri, lavoratrici si dovrebbero preoccupare?
Questa protesta non mi piace.

Essere donne libere e indipendenti, con argomentazioni serie da mandare avanti non significa scandalizzarsi per uno shooting volgare e di pochi pixel.
In questa polemica sessofobica, non ci vedo alcuna voglia di cambiare. Ancora una volta ci hanno trattato come gregge obbediente. Non pensante. Automaticamente travolte in un’onda mediatica. Col gelato alla gogna. Il gelato della vergogna.

Gelato al cioccolato. Dolce un po’ salato.
Ma quello non era Cristiano Malgioglio, ispirato da un’ avventura autobiografica vissuta con un ragazzo marocchino durante un viaggio in Africa?

La nostra dignità dovremmo, invece, incominciare a difenderla ogni giorno. Sul campo.

E ci sono donne che in silenzio, lontane dalle piazze cittadine o virtuali, già lo fanno.
Lontane dai cortei della gente benpensante, dagli slogan e dalle bandiere politiche hanno il brutto vizio di realizzare tutto ciò che dovrebbe essere tipico di uno Stato di diritto.
Loro ci provano. A combattere da donne. Per le donne. E non solo.
Esemplare, sotto questo profilo, è stato l’esperimento del codice Rosa. Rosa, non come il colore. Rosa come il fiore lieve e delicato, come tutte le persone vittime di violenza.

Un progetto pilota avviato nel 2010 nell’ Azienda Usl 9 di Grosseto, in collaborazione con la Procura della Repubblica di Grosseto, che ha coinvolto enti ed istituzioni. E con l’effetto domino si è esteso anche ad altre realtà prima toscane, poi italiane. Loro continuano a provarci. A combattere ogni forma di violenza. Con particolare attenzione alle donne.

Come ci provano tante altre donne nel mondo. Che lottano. Senz’armi. Ognuna a proprio modo. Mettendo, a volte, a rischio la loro stessa vita, perché un giorno generazioni future possano averne una migliore. Come Malala, la giovane pakistana. Che si è macchiata della colpa di impegnarsi a favore dell’istruzione delle donne. E che oggi ha istituito un fondo destinato all’educazione femminile. O come le donne palestinesi e i comitati popolari di resistenza non violenta. O ancora il Forum delle donne siriane. O come le mamme coraggio che in varie città italiane fanno arrestare i figli per salvare le nuore.

E ci prova ancora la mamma di Ciro, quando dice di perdonare.
Sarebbe interessante chiedere a qualcuno, un Dio, un demone o un Grande Fratello che ci vede dal di fuori e ci studia, chi s’indigna per davvero. Chi twitta e fa sfoggio di bacchettonismo, perché si porta. Fa chic. Per conformismo intellettuale. O chi invece tutti i giorni della propria esistenza è donna. Combatte. Anche coi tacchi. O con lo smalto. E senza scatenare bombe nella rete.

Se deve parlare pure la Lucarelli poi…. Che sulla pagina di Facebook posta: “Ehi Alfonso Signorini, ci so fare anch’io. Anche voi amiche vero?”
Non ci sto. Non posso stare a twittare. In questa crociata puritana. Con questo popolo di puttanieri e di subumane, scosciate, gonfiate dal botox. Rovinate da anni di Uomini e donne. E dalla Domenica di Canale 5.

Ornella Scannapieco

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