Al Centro Borsellino, presidio di legalità della cittadina pomiglianese, si è tenuto l’attesissimo convegno che, riprendendo il nome dell’associazione promotrice, si è intitolato “Antimafia territorio e legalità”.
Una sala gremita ha accolto i relatori venuti a discutere principalmente di attività concreta di opposizione all’illegalità e a tutto ciò che di mafioso c’è nei comportamenti quotidiani.
Apre l’incontro la proiezione di un video che mostra il risultato del brillante lavoro degli studenti dell’Isis Europa riguarda il rapporto economia-mafia intitolato “Truffatori di noi stessi”. Il 23 maggio lo stesso video è stato presentato a Palermo in occasione della commemorazione per le stragi dei giudici Falcone e Borsellino e ruota intorno alla metafora dello Stato come un salvadanaio con delle crepe che spesso noi stesso creiamo. Il fine a cui tendere è il modello della polis greca in cui lo stato coincideva con la collettività stessa lontano dalla visione attuale di estraneità alla cosa pubblica.
A porgere i saluti dell’amministrazione comunale che ha patrocinato l’incontro l’assessore alla cultura Roberto Nicolelli che, facendo riferimento alle ultime vicende sulla mafia capitolina, fissa il suo intervento soprattutto sul ruolo del consenso sociale ancor prima che sui ricavi dal malaffare.
Gli da manforte don Aniello Tortora il quale ricordando il Sinodo che stiamo vivendo ci riporta al suo significato principale del “camminare insieme”. Per il sacerdote, infatti, quello che un collettività religiosa dovrebbe fare per sostenere la verità contro il silenzio e l’omertà di cui si nutre la mafia è proprio fare fronte comune. La chiesa da sempre si è occupata di mafia ed il motivo è chiaro giacché compito della chiesa è la formazione delle coscienze. Purtroppo ammette quanto spesso quello che si predica in chiesa non si rispecchia nella realtà e causa ne sono i troppi personalismi. Ognuno invece dovrebbe sentirsi responsabile di fronte al prossimo non limitarsi a girare la faccia: essere rispettosi dell’altro è già un passo per la legalità. Il suo monito si rivolge infine alla mafiosità dei comportamenti nei colletti bianchi della legge, ovvero quando i diritti diventano favori ed è li che la chiesa ha il dovere di intervenire per essere veramente se stessa e cioè annunciatrice e denunciante.
All’incontro si è scelto di invitare quelle che sono state definite “esempi di intelligenze del territorio” che si impegnano per riportare al senso civico nelle realtà malsane, tra questi Don Aniello Manganiello e il Pubblico Ministero Vincenzo D’Onofrio.
Il magistrato cui Pomigliano ha dato i natali afferma che la ricchezza di un popolo si misura dal grado di cultura giustizia e salute. E’ ovvio che il giudizio sull’Italia non è positivo eppure nonostante tutto si mostra fiducioso per il nostro paese se non altro per i ragazzi validi come quelli che hanno realizzato il video proiettato in sala. Celebre resta il suo motto, riferito ai mafiosi, : “Facciamoci i fatti loro”. laddove non c’è silenzio non c’è mafia e di conseguenza non è utile colpire l’attore mafioso ma piuttosto il pilastro mafioso dell’omertà ciò che rende il territorio italiano humus perfetto per l’illegalità. E’ dove non si denuncia che decide di insediarsi il mafioso per appropriarsi del territorio e gestirlo. La sua scelta di lavorare nel territorio dove è nato, di non abbandonarlo, non è per eroicità ma perché avendolo vissuto è conosco della forma mentis dei suoi concittadini e può combatterne le devianze da dentro.
Chiude l’incontro la presentazione del libro di Don Aniello Manganiello “Legalità e scrittura. In Cammino verso Santiago” scritto insieme a Mino Grassi. Il Sacerdote ritorna dunque al discorso del “camminare” giacchè proprio nel cammino si affrontano i più disparati temi che si intrecciano l’uno all’altro dalla famiglia alla legalità. Ancora lungo il cammino, ammette, quando non si possono soddisfare economicamente i bisogni primari è facile cadere nella rete mafiosa ma c’è pur sempre un’altra strada. Per Don Aniello sicuramente non si deve mai pensare alla via mafiosa come l’unica percorribile. La rinuncia non deve esistere perché comporta una sconfitta e Gesù questo non l’ha mai previsto. Gesù non ha mai battuto in ritirata.
Stella Porricelli