“Luparella”: Isa Danieli in scena al Teatro Nuovo di Napoli

luparellaA oltre quindici anni dal suo debutto, torna in scena, con un nuovo allestimento, quel racconto duro e cinico, senza mezzi termini e censure dal linguaggio tagliente. Ha tutta la forza e il sapore di sudore e sangue, di violenza e sopraffazione, la storia che Enzo Moscato rivela nella sua Luparella, ovvero foto di bordello con Nanà, in scena da venerdì 12 dicembre 2014 alle ore 21.00 (repliche fino a domenica 21), con Isa Danieli e la partecipazione dello stesso Moscato.

Protagonista della vicenda è Nanà, l’anima candida e reietta, giovane-vecchissima creatura al servizio “minuto” delle donne di un bordello arroccato sui Quartieri Spagnoli, nella Napoli, desolata e avvilita, dell’occupazione nazista, sul finire dell’estate del 1943. Moscato le “affida” la narrazione di questa storia tragica, nell’aria c’è l’eco delle sirene antiaeree e l’odore ancora caldo delle macerie.  Unica superstite all’interno del bordello, oltre a Nanà, è Luparella, vecchia prostituta in preda alle doglie che, aiutata da Nanà, riesce a dare alla luce un figlio, per morire subito dopo il parto, consumata da malattie preesistenti. La morte della donna non esaurisce però il dolore e la violenza di questa vicenda, in cui l’oltraggio vissuto da Luparella sarà ben peggiore, in una spirale d’istinto e desolazione che lascia poco spazio alla
dignità.

E’ a questo punto, infatti, che irrompe sulla scena un soldato nazista in cerca di piacere, bisogno che non si arresta neppure di fronte al corpo esanime della maitresse.

«Nanà – spiega Moscato – è simbolo di una Napoli-risentimento e non da folclorica cartolina, voce e volto d’azione di riscatto, a fronte delle infinite bugie e menzogne su un popolo, consegnatoci da chi ce lo tramanda come inerte e infingardo, pagnottista e voltagabbana, a farsi, nella vicenda, l’artefice violenta d’un delitto, una specie di catarsi, improvvisa e sanguinaria, attuata a difesa di una vittima, di qualcuno più soggetto e più debole di lei: di Luparella, appunto: l’altro corpo-non corpo in scena,
puro fantasma, evocazione di memoria, ombra fedele di Nanà nell’osceno e sboccato rosario dei martiri».

Attraverso una sintassi che fa dell’irruenza verbale e della stratificazione semantica i suoi punti di forza, l’autore svela l’abisso dell’abbruttimento umano, nell’incapacità di pietas, nella brutalità e carnalità più estreme. Ci si ritrova in un territorio dove l’animalità prende il sopravvento su qualsiasi capacità di mediazione tra istinto e ragione.

Il racconto si trasforma, così, in una testimonianza dura e cinica, espressa senza mezzi termini e censure dal linguaggio tagliente di Moscato, come una sorta di partitura per voce sola, attraverso le pieghe di una scrittura lirica e scabra al contempo.

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