Per molti è un biglietto di sola andata.
Alla ricerca dell’America.
Di un “aldilà economico”.
Per altri una fuga. Da guerre. Persecuzioni. O per motivi di razza, religione. O per credo politico.
Alcuni entrano con permesso regolare.
Per migliorare la qualità di vita propria e dei familiari.
Altri, per le stesse ragioni. Ma in maniera irregolare.
Con viaggi di fortuna. Su imbarcazioni. Che sfidano il mare, sole, intemperie e tempeste.
Partono dalle coste della Libia.
E trasportano sogni e speranze. Che troppo spesso diventano dolore e morte.
Fino all’isola di Lampedusa. Il cimitero dei barconi.
Le agenzie di stampa divulgano con frequenza numeri di sbarchi. Come se chi s’ aggrappa alle nostre coste non avesse un corpo, fatto di ossa, di carne e di sangue.
Soltanto numeri.
Come se si quantificassero cose. Merci.
Alcuni invece approdano nelle nostre città. Dall’est. O dai paesi dell’Africa centrale. Attratti dal miraggio di migliori condizioni di vita.
Soprattutto giovani donne, facili prede di organizzazioni senza scrupoli, varcano i confini con l’inganno. Di un lavoro da modelle. E poi diventano “merce umana”. Buttate sulla strada. Sfruttate sessualmente.
Scrive Giuseppe Carrisi, giornalista RAI, scrittore e documentarista ne “La Fabbrica delle Prostitute”: << La prostituzione da noi è un business, anzi il business. E nessuno si scandalizza. I giornali locali chiamano la rotta Pipeline “oleodotto”. E, a ben guardare, non c’è tanta differenza tra le ragazze e il petrolio. Entrambi rendono un sacco di soldi>>
Le migrazioni internazionali sono una realtà.
Che persisterá finché resteranno i divari di ricchezza e sviluppo tra le diverse regioni del mondo.
Possono essere visti come un “ostacolo esistente dell’umanità attuale”. I popoli sono in movimento dappertutto.
L’arrivo di culture altre può essere sentito come una minaccia all’identità occidentale.
Ma possono rappresentare anche un’opportunità. Fattori di scambio umano. Le migrazioni rappresentano, crescita economica.
E lo dimostrano le scelte di politica sociale adottate recentemente dal Presidente degli Stati Uniti, Obama.
Che in tv, nel discorso dalla Casa Bianca annunciava: ” Siamo sempre stato un Paese di immigrati”; presentando un decreto che dovrebbe regolarizzare 5 milioni di clandestini.
L’immigrazione, oggi, è un problema complessivo dell’umanità. Un fenomeno articolato e reso sempre più complesso dall’ emersione di fattori di crisi economica e occupazionale. Che rendono più avara e difficile l’accoglienza. E l’ integrazione.
Di qui la necessità di trovare nuove chiavi di lettura e paradigmi interpretativi. Anche a livello accademico.
L’approccio utilizzato non può essere che quello multidisciplinare.
Ed in questa prospettiva che, ieri 19 dicembre, si è svolto – presso l’Aula De Sanctis del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Ateneo federiciano – il convegno ” Biopolitica dell’immigrazione”.
L’incontro nato da un progetto di ricerca del Professore Luigi Ferrara, è stata un’occasione di confronto tra alcune delle più autorevoli voci delle Università italiane.
Il programma del convegno si è aperto con i saluti d’indirizzo del Professore Fiorenzo Liguori, e del Presidente del Consiglio dell’ Ordine degli Avvocati di Napoli, Francesco Caia.
Sono seguite le osservazioni introduttive del Professor Giuseppe Palma, e le relazioni di docenti delle discipline diverse (giuristi costituzionalisti, amministrativisti, penalisti, filosofi e storici del diritto, economisti e geografi), per un dialogo plurale e multidisciplinare su cittadinanza, sicurezza, multiculturalismo e integrazione culturale dei migranti.
E in questa occasione si è più volte ribadito che la nostra era una Nazione di migranti. E che in questo spazio che noi italiani ” figli della terra” sentiamo come il nostro territorio, “accogliere” l’estraneo non vuol dire omologare. Ma accettare anche la diversità culturale.
L’estraneo non è necessariamente l’illegalità. È solo ciò che l’ordinamento giuridico considera estraneo alle norme
Estraneo è allora scompiglio.
Vuol dire mettere in discussione.
È alegale. Non illegale.
Accoglienza non è assimilazione.
Considerazioni queste che portano a formulare nuove ipotesi di cittadinanza.
E di identità di un popolo.
Così arrivando alle conclusioni che le stesse identità si evolvono.
E che anche quella italiana è frutto di contaminazioni.
L’obiettivo del convegno, dunque, è stato quello di interrogarsi su quali capacità l’ italiano deve sviluppare per cogliere le opportunità offerte da questa nuova presenza, l’estraneo, e su come gestire i conflitti che l’accompagnano.
Il dibattito si è concluso nell’auspicio
che una maggiore coesione sociale possa essere possibile. In un’ottica di inclusione reale. Tenendo in debito conto che non tutti gli “estranei” sono uguali. Ma hanno le loro peculiari specificità.
Ornella Scannapieco