Emergenza sanitaria a Napoli: odissea senza fine per pazienti e familiari disgraziatamente incappati nelle maglie di una sanità pubblica che di efficiente ha poco o nulla.
Il calvario dell’ammalato inizia al pronto soccorso per poi continuare nei gironi danteschi dei reparti dove per ottenere qualche risultato, per “risolvere” deve appartenere ovvero essere già paziente privato del primario o degli assistenti che operano nei contesti ospedalieri visitati dalla malcapitata vittima. Per non parlare poi dell’approssimazione e della venalità di buona parte del personale infermieristico sempre pronto a scroccare “mance” ai familiari in cambio di un trattamento di favore per il degente.
Di contro onesti operatori sopperiscono eroicamente (tra mille difficoltà) all’inefficienza e alla mala fede dei colleghi.
Per rendere meglio l‘ idea basti pensare che nemmeno ripetute sollecitazioni scritte riescono in piena urgenza a muovere un medico dal Loreto Mare al vicino Ascalesi per una indispensabile consulenza tecnica relativa alla possibilità di operare endoscopicamente un paziente già fortemente debilitato da svariate patologie.
“Io non so, non ero presente e non ero certo il primario”: questo il ritornello che sinistro accompagna le varie “spiegazioni” dei medici spesso contradditorie e frammentarie tra gli stessi camici bianchi operanti nel reparto.
Sul fronte igienico – logistico poi la situazione è a dir poco drammatica. Allora che fare per far fronte a tale miserabile scenario se non rivolgersi alla Procura della Repubblica, all’Ispettorato del Lavoro e alle Istituzioni di controllo competenti. Certo tale atteggiamento cautelativo non restituisce in tempi utili dignità e diritto all’assistenza medica all’ammalato: gioiscano quindi Caldoro, de Magistris e i potenti leader nazionali che hanno ridotto la capitale del mezzogiorno a cloaca massima martoriata da inefficienze indicibili.
Corruzione e clientelismo dilagano all’interno di un sistema sanitario ormai palesemente imploso su se stesso: della serie agli ammalati sarebbe più onesto dire all’ingresso nei plessi ospedalieri partenopei “benvenuti all’inferno”.
Alfonso Maria Liguori