Affacciata al parapetto del palco. Coi fregi dorati.
Sento l’odore dei velluti. Rosso fiammante. Dei legni del Teatro. Il Teatro con la T maiuscola. Il Teatro San Carlo. Che non l’Italia, ma il mondo ci invidia. “Gli occhi sono abbagliati, l’anima rapita.” Scriveva Stendhal nei primi anni dell’ Ottocento.
Allungo il collo fin sopra il soffitto. Divinità, arti e sommi poeti.
Attenzione, buio in sala, David Coleman dirige. La musica ha inizio. Con gli spartiti che gli corrono dietro.
Poi si alza il sipario. E offre al pubblico partenopeo un piccolo cameo di Natale. Lo Schiaccianoci di Pëtr Il’ič Čajkovskij. Nella versione coreografica di Alessandra Panzavolta. Ha inaugurato la stagione del Lirico i primi giorni di gennaio.
Il balletto dalle atmosfere oniriche e fiabesche che incanta adulti come bambini. E per questo gli pulisce il cuore.
Calde atmosfere familiari . Un albero di Natale domina la scena, uno schiaccianoci di legno è destinato a diventare principe. Nel salotto di casa Stahlbaum si muovono, tra scatole di regali, giocattoli e personaggi di fantasia, i vestiti coloratissimi di Giusi Giustino che serviranno per volare, diverranno addobbi natalizi, si trasformeranno in pirouettes, pas de deux e altro ancora.
Danzano il balletto dello scambio dei regali. Danzano in un carillon. Clara bambina e suo fratello. Lo strano orologiaio. I burattini, topi giganti e la misteriosa bambola-Schiaccianoci in forma di soldato.
Nella magia del sogno danza Clara adulta. E lo Schiaccianoci trasformato in Principe.
Applausi. Lunghi applausi per il Corpo di ballo del Massimo napoletano.
Convince il pubblico e la stampa il lavoro “dietro le quinte”del nuovo maître de ballet Lienz Chang.
Nevica; Clara vede tra i fiocchi di neve una bella regina che la invita a seguirla. In un viaggio straordinario.
Nella Danza dei Fiocchi di neve. Come in una “boule de neige”.
Quei piccoli paesaggi sotto vetro. Che capovolgi per vedere, come lenta, scende la neve. E non distingui dove è lei che balla. Fiocco tra i fiocchi. Interpreta il ruolo della prima ballerina Anna Chiara Amirante. Nella replica del 2 gennaio delle ore 21,00.
Fa il suo ingresso in scena con un bellissimo grand jeté. Mozzafiato. Alto. Il tutú sembra volare con lei.
E’ Regina. E’ fiocco. E’ leggera. E’ neve.
Solitamente una” danseuse de ballet” la riconosci. Dal collo del piede. Dalla morbidezza delle braccia. E dalla presenza scenica.
E lei ne ha tanta.
È forte la sua luce. Anche se stretta nel corpetto di raso e nel tulle. Esce prepotente.
Mentre balla. Nel ”suo” teatro.
E pure ora che mi parla. Seduta al tavolino nel bar antistante il Teatro.
Scaturchio. Famoso. Da sempre. Per il Ministeriale, delizioso medaglione al cioccolato fondente.
È intenso il suo sguardo. Non lo stacca mai. Dal mio. Che le chiedo perché mai fasciarsi i piedi. Farseli sanguinare. Da bambina.
“Per imparare a volare”. Mi risponde.
AnnaChiara, napoletana. 27 anni.Giovanissima. Vola davvero. Farfalla sul palco. Libra.
Inizia a danzare a 7 anni. Al San Carlo. Sotto la guida artistica di Anna Razzi.
“Maestra di danza e di vita” dice con toni decisi. “Anna Razzi mi ha preparato ad affrontare un mondo difficile, competitivo. Ogni spettacolo è una lista, un’audizione”.
Continua la sua formazione al Teatro dell’Opera di Roma. Dove nei suoi allenamenti quotidiani studia con Carla Fracci.
“Roma mi ha dato tanto. La Fracci era severissima”. Nella sua voce sento orgoglio. L’orgoglio di chi ormai ha i calli. E i piedi non sanguinano più. E sa che può volteggiare in leggeri fouettés. “Una direttrice presente al cento per cento. Ogni giorno era in sala con noi a fare allenamento. Era molto dura. Sempre critica. Per farti migliorare. Un anno ho anche litigato per la frangia ai capelli. Non le piaceva. Voleva i capelli legati insú. Con la riga al centro. Per un’aria più seria. Una ballerina è anche disciplina. Regola. Non solo passione”.
Le sue parole mi richiamano quelle di Georges Braque: “Mi piace la regola che corregge l’emozione. Mi piace l’emozione che corregge la regola”.
“E giusto che l’Arte oscilli tra disciplina e amore”, mi conferma. Minuta ma sicura. “La Danza è emozione. È sentire emozione. Per trasmettere emozione. Ma se non sai controllarla l’emozione, non sarai mai un’artista”.
Ci muoviamo nella sfera complessa dei sentimenti. Delle emozioni. Nell’elegante salotto dell’Opera Cafe’.
“La Danza è sempre stato Amore. Ed in questo momento particolare della mia vita, significa poter dimenticare tutto. Entrare nel sogno”.
È una donna AnnaChiara. E non lo nasconde. Delicata nei tratti. Non ha paura a mostrarsi. Non vuole difendersi.
In questo caleidoscopio di sensazioni, le chiedo se c’è un momento nella sua carriera che più è impresso nella memoria del suo cuore.
“La Bayadère” . Non ha dubbi. Il volto lo confida sincero. “Al teatro dell’Opera a Roma. Nel ruolo di Nikija sulle note di Minkus. Ho ballato la prima Bayadére della storia del Lirico di Roma. In un bellissimo costume rosso. Ero incinta di mia figlia. E non lo sapevo”.
M’introduce a quello che lei stessa definisce “Il mio unico grande Amore”. Dalia. Una bimba dagli occhi grandi. Bambi. Come lei.
Me ne mostra un’immagine. È un suo disegno. Perché AnnaChiara dipinge. Dai tempi del liceo artistico. “Lei e l’arte – dice – non vogliono proprio lasciarsi andare”.
Dalia è il suo punto di svolta. La sua crescita emotiva. Che ora la fa sentire pronta per ruoli professionali diversi.
È ambiziosa. Ha un desiderio. Un obiettivo.
“Un ruolo che mi piacerebbe è la Carmen di Roland Petít. Un ruolo di carattere. Di temperamento”.
Si sente pronta alla chioma raccolta nello chignon. Impreziosita dalla rosa. E a portare sotto le luci del palco la sua maturità di donna.
Vuole di più di un pas de deux nel Lago dei Cigni.
Mi sorride.
Il sipario si chiude. E anche il microfono del mio registratore.
Le rivolgo un’ultima domanda. Tra favola e realtà.
Nella fiaba di Hoffman “Lo Schiaccianoci e il re dei topi”, un pupazzo di legno bruttino, col capoccione sbilenco e i denti di legno viene affidato nelle mani di Clara. Perché ne abbia cura nonostante l’apparente bruttezza. Le chiedo qual è il suo rapporto con l’estetica e con tutto ciò che è corpo.
Mi dice serena: “A volte capita di vedere la magia negli occhi di una persona che non avresti mai considerato”.
È davvero una principessa. Non è solo un abito da scena.
Insisto. Voglio essere più invadente.
“Ci credi alla favola del rospo che si trasforma in principe?”
Sorridono i suoi occhi. Con un velo di malinconia, schiarisce la voce: “Non credo al finto principe. A quello che si presenta principe. E principe non è”.
C’ha le prove. La sera l’aspetta il balletto dei Mirlitoni.
Mi saluta.
Se ne va. Su per le scale del teatro. Io la guardo andare via. Sembra fatata.
Mi lascia tutta la scia del sogno. Della magia.
Ornella Scannapieco