Abbiamo tutti negli occhi le immagini di Parigi. In particolare quelle di un uomo incappucciato che pone fine alla vita – a quell’esclusivo universo che è la vita – di un altro uomo implorante. Il primo nella sua corsa discreta, senza ansie, come calma; il secondo, già disteso a terra, con un braccio alto a proteggersi, un attimo prima di diventare un mucchio scuro, immobile, assolutamente fermo, innaturalmente fermo, senza un fremito, un sussulto. Come se la vita non avesse nemmeno un ultimo ritorno, prima di svanire.
Eppure, forse, se non ci fosse stata, in molti di noi, la commozione dell’umanità di centomila persone, in una piazza, a ricordare la morte di un uomo capace di farsi – e con il mezzo più semplice: il suono delle parole – anima di un popolo, le avremmo vissute come una finzione, un possibile mondo che si rappresenta a riscattare le sue miserie. Forse senza quella commozione le avremmo considerate espressione di quell’”autenticamente falso” nel quale si converte tutto ciò che appare in video.
Invece ci sono esplose dentro, nella loro terrificante banalità, nella loro semplicità. E Parigi, la città dei sogni che hanno un prezzo, delle favole, per chi quel prezzo non lo può pagare, si è fatta l’angolo più umido dell’anima del mondo, la periferia buia del piccolo universo dell’esperienza di ciascuno di noi.
Per questo, in perfetta sintonia con l’Amministrazione Comunale, il Liceo Artistico “Giorgio de Chirico” ha inteso lasciare un segno con un’installazione posta sul balcone di Palazzo Criscuolo. Una matita spezzata – la stessa che gli studenti usano per creare un loro mondo, esclusivo, con unici confini la mano che la tiene, il pensiero che la orienta – metà francese, metà islamica, con due bandiere con una banda nera di lutto.
A ricordarci che ad essere stato spezzato è quel patrimonio comune, di tutti, ma proprio tutti, di una condizione umana che talvolta ci lascia delusi, ma che pur sempre è l’unica certezza che abbiamo. Che quando si incrina ci lascia sgomenti.
E fragili.