Eppure, forse, se non ci fosse stata, in molti di noi, la commozione dell’umanità di centomila persone, in una piazza, a ricordare la morte di un uomo capace di farsi – e con il mezzo più semplice: il suono delle parole – anima di un popolo, le avremmo vissute come una finzione, un possibile mondo che si rappresenta a riscattare le sue miserie. Forse senza quella commozione le avremmo considerate espressione di quell’”autenticamente falso” nel quale si converte tutto ciò che appare in video.
Invece ci sono esplose dentro, nella loro terrificante banalità, nella loro semplicità. E Parigi, la città dei sogni che hanno un prezzo, delle favole, per chi quel prezzo non lo può pagare, si è fatta l’angolo più umido dell’anima del mondo, la periferia buia del piccolo universo dell’esperienza di ciascuno di noi.
A ricordarci che ad essere stato spezzato è quel patrimonio comune, di tutti, ma proprio tutti, di una condizione umana che talvolta ci lascia delusi, ma che pur sempre è l’unica certezza che abbiamo. Che quando si incrina ci lascia sgomenti.
E fragili.