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Torre Annunziata, Procura e Dda sequestrano la roccaforte del clan Gionta

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Doppio sequestro per Palazzo Fienga, l’edificio considerato la roccaforte del clan camorristico dei Gionta. Questa mattina le forze dell’ordine hanno notificato i sequestri preventivi richiesti dalla Procura della Repubblica di Torre Annunziata e dalla Direzione Distrettuale Antimafia (Dda) di Napoli. Il primo provvedimento riguarda il grave dissesto statico che comporta un grave pericolo sia per le persone che lo abitano sia per coloro che transitano nelle vicinanze, il secondo è stato disposto allo scopo di sottrarre al clan Gionta di Torre Annunziata la disponibilità di un immobile che negli anni è stato utilizzato dalla cosca per rafforzare la propria presenza criminale sul territorio oplontino.

Questa mattina non sono mancati momenti di tensione, con alcune persone che hanno urlato frasi ingiuriose nei confronti di chi ha eseguito lo sgombero. Sul posto si sono recati anche operai che hanno eliminato alcune cancellate di finestre realizzate abusivamente. Sempre questa mattina si è tenuta presso la Procura oplontina una conferenza stampa che ha illustrato i dettagli delle operazioni effettuate dai carabinieri del gruppo di Torre Annunziata, dai poliziotti del locale commissariato di Ps e dai militari della guardia di finanza. È stato disposto lo sgombero di 42 nuclei familiari, per un totale di 193 persone, che occupavano 63 appartamenti che componevano (unitamente ad altre 36 appartamenti non occupati ed a 17 locali non abitativi) l’intero stabile di palazzo Fienga.

“Il provvedimento di sequestro – ha spiegato il procuratore capo di Torre Annunziata Alessandro Pennasilico – adottato in seguito alla richiesta della Procura del 6 novembre 2014, deriva da un grave dissesto statico che comporta un grave pericolo sia per le persone che lo abitano sia per coloro che transitano nelle vicinanze”. Il decreto di sequestro preventivo ha ripercorso la storia delle indagini relative alla sicurezza del fabbricato effettuate nel corso degli ultimi trenta anni ed ha preso in considerazione le conclusioni cui provengono le consulenze tecniche che hanno interessato Palazzo Fienga sino all’ultima, redatta nell’agosto 2014, che ha reso necessaria l’emissione da parte del Comune di Torre Annunziata dell’ordinanza di sgombero del 18 agosto.

Bisogna ricordare che Palazzo Fienga fu già gravemente danneggiato in seguito al sisma dell’80. Già nel 17 dicembre 1980 un collegio peritale, composto da tre docenti universitari, rilevò lo stato di insicurezza dell’immobile per colore che vi dimostrano, elencando tutti gli interventi senza i quali sarebbe stato impossibile abitarvi senza correre rischi. Pertanto nel dicembre del 1980 fu ordinato il primo sgombero di Palazzo Fienga che rimase ineseguito. Nel corso degli anni furono effettuate altre due perizie dai tecnici comunali, una prima nel 1982 ed una seconda nel 1998. In quel caso si constatava l’aggravarsi del dissesto statico, verificandosi tra l’altro, la presenza di “lesioni da schiacciamento, lesioni diffuse, lesioni cantonali, lesioni alle volte, lesioni a solai e putrelle, lesioni ai rampanti scala”. Nel 2006 venne compiuto un ulteriore accertamento, da cui si evinceva un peggioramento delle fessurazioni che aggrava il pericolo di crollo. Si sono poi succedute altre ordinanze di sgombero negli anni 1996, 2003, e 2006, rimaste senza esito. In un caso le roulotte predisposte e messe a disposizione degli occupanti dell’edificio furono date alle fiamme.

“Quest’ufficio ha accertato – ha spiegato Pennasilico – che nel corso di oltre 33 anni non risulta essere stato effettuato alcun intervento di consolidamento strutturale né alcun serio intervento manutentivo. Sono state acquisite, al contrario, le copie dei verbali di decine di interventi effettuati dal 1985, dai vigili del fuoco e dalle forze dell’ordine, in seguito ad eventi preoccupanti, quali crolli parziali, caduta di calcinacci e di intonaci dai solai, facciate, rampe di scale, nonché infiltrazioni d’acqua. La citata ultima perizia ha accertato che il fabbricato in questione è incompatibile con il soggiorno di essere umani. Si è provveduto quindi al sequestro preventivo dell’immobile, sul quale è intervenuto anche un ulteriore provvedimento della Dda di Napoli, con la quale questa Procura si è da tempo coordinata onde affrontare la vicenda da ogni possibile angolazione”.

Sono stati iscritti nel registro degli indagati gli occupanti dell’immobile per non aver adempiuto all’ordinanza di sgombero del 18 agosto 2014, ed i proprietari delle unità immobiliari, che non hanno effettuato i necessari lavori di messa in sicurezza prescritti con l’ordinanza comunale del 15 settembre 2014. Nella mattinata di oggi, come già accennato, polizia, carabinieri e guardia di finanza, in un’operazione diretta dalla Prefettura e coordinata dalla Questura di Napoli, hanno provveduto alla materiale esecuzione del provvedimento giudiziario mediante lo sgombero degli occupanti. Nei confronti di questi ultimi il Comune di Torre Annunziata ha approntato delle soluzioni abitative di carattere temporaneo ed ha messo a disposizione una impresa per aiutare i soggetti interessati a trasportare le proprie suppellettili.

Passando al provvedimento dell’Antimafia, invece, il procuratore aggiunto Filippo Beatrice ha spiegato che “lo scopo era di sottrarre al clan Gionta la disponibilità di un immobile che negli anni è stato utilizzato dalla cosca per rafforzare la propria presenza criminale sul territorio di Torre Annunziata ed alimentare sempre più nella popolazione locale una condizione di paura, omertà e assoggettamento direttamente funzionale al perseguimento dei programmi illeciti della cosca ed alle relative pretese di impunità dei propri affiliati.

“La necessità che gli interventi di entrambi gli uffici giudiziari – ha sottolineato Beatrice – siano eseguiti nell’ambito di una comune azione di coordinamento (anche al fine di rinvenire cose pertinenti ai delitti aggravati all’ex art. 7 attribuibili a talune delle persone che abitano l’immobile) ha imposto l’adozione di un provvedimento urgente da parte del Pubblico Ministero con il quale è stata disposto lo stesso sgombero dell’edificio da parte dei soggetti occupanti”.

L’obiettivo era dunque evitare che attraverso a Palazzo Fienga gli affiliati dei Gionta organizzassero omicidi, estorsioni, traffici di droga e armi, rifugio ed ospitalità a latitanti.

“Gli elementi acquisiti nel corso delle indagini – ha continuato il pm dell’Antimafia – hanno dimostrato che al di là della formale titolarità degli appartamenti che compongono lo stabile, Palazzo Fienga rappresenta una sorta di ‘blocco camorristico’ unitario all’interno del quale il clan Gionta detta assolutamente incontrastato la propria legge criminale contando su una rete di complicità e connivenze che rendono l’edificio nella sua interezza una roccaforte impenetrabile ed una base sicura per la cosca dove possono essere organizzate ed eseguite, senza alcuna paura di essere denunciati da condomini ed inquilini dei vari appartamenti le più svariate azioni delittuose”.

Il nesso che lega Palazzo Fienga al clan Gionta è comunque un dato costantemente conclamato nelle sentenze che hanno sistematicamente accertato l’esistenza di tale sodalizio e le relative caratteristiche organizzative ed operative. Chiarissime sono al riguardo le pagine della sentenza, ormai passata in giudicato, emessa dalla II sezione penale del Tribunale di Torre Annunziata il 22 maggio 2002 all’esito del processo nei confronti di Angelo Nuvoletta ed altre persone. Nella sentenza veniva ampiamente documentato come l’intero stabile sia ormai da tempo nella piena disponibilità del clan e come lo stesso utilizzi per commettere ogni sorta di delitto. Inoltre veniva sottolineato come il clan Gionta aveva scientificamente operato una sorta di “bonifica” violenta nel Palazzo, espellendo con forza coloro che non garantivano l’assoluto controllo dello stabile e che comunque dovevano lasciar posto ad affiliati a pieno titolo della cosca. La funzione di roccaforte del clan Gionta assegnata al Palazzo Fienga è stata evidenziata anche da altre decisioni (come quella adottata dalla IV sez. della Corte di Assise di Napoli nella sentenza del 27 gennaio 2009, ormai definitiva, relativa al processo concluso con la condanna alla pena dell’ergastolo per Pasquale Gionta ed altri; o quella della sentenza emessa in 20 dicembre 2010 dal gup di Napoli nel processo “Alta marea” ove si afferma che: “Le abitazioni in questione, e l’intero stabile, invero hanno assunto caratteristiche tali da apparire anche all’esterno come un vero e proprio fortilizio funzionale alle ragioni di sicurezza del clan e dunque alla sua stessa esistenza ed operatività criminale”. Va poi ricordata la sentenza emessa il 12 marzo 2013 dalla VI sezione della Corte di Appello di Napoli che riteneva il controllo di Palazzo Fienga da parte del clan un importantissimo elemento dimostrativo della stessa esistenza del clan.

“È dunque un dato ormai accertato che il clan Gionta controlli l’intero edificio – ha spiegato Beatrice – ed utilizzi lo stesso per deliberare organizzare ed eseguire le più importanti attività illecite dell’organizzazione. Palazzo Fienga ormai da tempo non costituisce il mero luogo di residenza degli appartenenti alla cosca. Esso rappresenta, al contrario, il luogo dove il clan esprime in prima battuta le proprie capacità criminali realizzando la propria pretesa di controllo e governo egemonico dei luoghi e persone. Palazzo Fienga rappresenta da un punto di vista criminale uno dei punti di forza della cosca. Ed infatti è a Palazzo Fienga che vengono deliberati e organizzati omicidi ed azioni di sangue lungo la pubblica via (le immagini relative all’omicidio di Ettore Merlino restituiscono a pieno il quadro di Palazzo Fienga come quello di una vera fabbrica della morte; è a Palazzo Fienga che vengono costantemente occultate armi e sostanze stupefacenti dell’organizzazione; è a palazzo Fienga che vengono convocati gli imprenditori per essere minacciati e sottoposti ad estorsione”.

Il sequestro dell’immobile è stato dunque reso necessario per scongiurare il grave e concreto il pericolo che gli affiliati in libertà dell’organizzazione utilizzino ancora una volta lo stabile per riorganizzare, all’indomani della cattura di Aldo e Valentino Gionta Aldo, le fila della cosca e riaffermarne la perdurante presenza sul territorio oplontino attraverso eclatanti azioni di sangue.

Raffaele Cava

Francesco Ferrigno

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