Regia: Raffaele Bruno assieme a: Delirio Creativo ( Alex Capasso e Federica Palo).
Musiche dal vivo: Silvia Romano Attori-pellegrini: Mariarosaria Iadevaia Giuliana Pinelli Teresa freddo Serena Russo Rosanna Camerlingo Nicola Cantalupo Daniele De Vita Giusy Verrengia
un rito, un cerimoniale, una festa, una meditazione
PAROLE PER NOI:
Il teatro si offre scenario di una interessante e originale idea di spettacolo: “Quel che resta della guerra” ovvero “un atto creativo che testimonia otto mesi di improvvisazioni, incontri, banchetti e magie. Un rito, un cerimoniale, una festa, una meditazione.”
Un atto creativo che diventa spettacolo dando vita ad anime e voci concrete, lontane e strette da vicino.
Una carrellata di personaggi dove apparentemente la follia di una vita immaginaria sembra esserne il filo conduttore: ora una storia che non c’è,ora un personaggio, ora una voce, ora un suono, ora un’emozione .
La scena si libera di oppressioni e finzioni e diventa il respiro di una corsa,di una e tante storie. Racconti e frammenti. Su tutti l’ombra di mille specchi rotti in mille immagini.
Ti senti un po’ obbligato a cercare di captare un filo conduttore, abituati come siamo, a cercare in ogni senso, il senso dell’altro. Ma adesso, mettiamo insieme una, due, tre vite davanti, dietro sotto e sopra uno specchio. Chi potrebbe condurne il gioco? Tra riflessi e fantasmi, chi ne cucirebbe un filo?
Ma lo spettatore è lì e lì resta finché quel filo non lo trova. Lui non lo sa ancora, ma presto si renderà conto in un’emozione che a quel filo immaginario è già legato, appeso.
Quando il pubblico diventa palco, ci si è dentro, ci si è coinvolti. Ogni gesto sembra cadere addosso allo spettatore e ogni senso ne viene avvolto. Qui senti la magia che solo il teatro può inventare. Una magia incandescente che plasma forme e pensieri: “Sto aspettando perché la vita vuole andare avanti”. Una battuta, una bocca di riso e latte, di riso e pianto. No. Non è ancora quello filo che ci danniamo a cercare. “Non te l’ho detto prima, suono il pianoforte”, e la chitarra comincia: arpeggia, sale scende, fa giri d’anime, accarezza. Poi il silenzio. Una canzone. Una voce arrabbiata, dolcemente stretta in gola, spalanca parole di burro e sangue e sparge ceneri su inutili sensi. In bellissime intonazioni si fa attrice che dietro al pubblico ne diventa sostegno. Ma ad un tratto, quel filo te lo trovi sul palco. Lo vedi, sottile e resistente, bugiardo e truffatore mantiene i panni sporchi e profumati di tutte le vite viste e sentite da vicino e lontano.