Sposato con Carolina Matilde, nobildonna anglosassone, avrà un rapporto ambivalente con la consorte, ora amore incondizionato, ora completo distacco, al punto che, con l’avallo dello stesso sovrano, ella si troverà un amante, il dottor Johann Friedrich Struensee, medico di corte che avrà in cura proprio re Cristiano. Ma l’amicizia tra paziente e psichiatra non sarà inclinata dal rapporto amoroso, anzi il sovrano danese si ispirerà alle idee illuminate del medico per porre le fondamenta di una rivoluzione politico-economica e soprattutto culturale.
Ostacolato da nobili e dalla regina madre, non esiterà a promulgare alcune leggi, salvaguardando i diritti dei coloni dell’impero e quelli dei lavoratori del latifondo. Trarrà bozze per la prima composita riforma statale a tutela dei diritti umani, dalla proposta di abolizione della pena di morte e della tortura a quella del sistema scolastico, con l’intento di rendere obbligatoria e gratuita per tutti l’istruzione sino ai sedici anni di età. Ma non sarà lui a vedere realizzato questo sogno, lo stesso vedrà luce grazie al proprio figlio, Federico, che non conoscerà il proprio padre fino agli undici anni, un po’ per la follia dello stesso, un po’ per volere della regina madre, la quale tenta addirittura di metterlo fuori gioco per evitarne la successione.
Ad ogni modo, però, una volta incontrati, padre e figlio non perdono occasione per passare tempo assieme, soprattutto nella biblioteca di palazzo, ove il pargolo imparerà tutti i principi dell’illuminismo, allora dilagante in Europa, e soprattutto gli scritti di Voltaire e Rousseau. Alla morte del padre ed alla sua salita al trono, re Federico ritroverà gli appunti paterni e metterà in atto la riforma tanto agognata rendendo la Danimarca lo Stato più evoluto ed all’avanguardia del tempo.
Il romanzo dello scrittore milanese sembra mandarci un messaggio chiaro, la follia è il seme attraverso il quale può sbocciare la rivoluzione, attraverso cui l’uomo può davvero evolversi. Sono solo i pazzi, infatti, ad avere l’ambizione di poter modificare il mondo, di renderlo migliore, di non essere soggiogati all’autorità del potere né di essere vittima della mediocrità. Dario Fo, che non ha mai nascosto le sue simpatie per i grillini, tanto da essere uno dei maggiori candidati in vista delle “quirinarie” del 2013, parlando della Danimarca del ‘700 sembra parlarci dell’Europa di oggi, sembra chiedere al mondo e soprattutto ad i giovani di osare, di avere la mente non ancorata alla tradizione ma di spiccare il volo e di credere veramente ai propri sogni, senza timore di essere emarginati da un sistema che, comunque, è sempre troppo antico.
Giovanni Di Rubba