“Le figlie della fortuna” di Maria Elefante, presentazione del libro a Napoli

Locandina De LisaUna delle caratteristiche di «Le figlie della fortuna», il racconto “lungo” di Maria Elefante, docente di «Lingua e Letteratura latina» all’Università Federico II di Napoli, elemento, quest’ultimo, che assieme agli altri, ben strutturati e distinti tra loro, dà vita al libro incastrando e legando i fatti, i personaggi, le realtà sociali e la storia del territorio su cui si sviluppa la saga familiare di due donne vesuviane: Fortuna e Fortunata.

Perché è appunto la storia del territorio che si trova a sud del Vesuvio, il vulcano che chi vive in quell’area indica solo come «’a Muntagna», la montagna, la cifra a cui fa riferimento l’autrice. E per la quale dichiara tutto il suo amore. Non a caso, per Maria Elefante, il racconto, la trama, i personaggi, appaiono come un mezzo per approntare un affresco sulla sua città, muovendosi con passi cadenzati tra le case e i vicoli, respirando i profumi del cibo, della sua terra e del suo mare. Ma è anche una maniera di proporre la lingua napoletana con frequenza e “a ciammiello”, a pennello, come si dice a Napoli quando si vuol indicare una cosa che è stata fatta “alla perfezione”. Perché tra i tanti elementi caratterizzanti c’è anche un interessante pluralismo linguistico a mettere in evidenza una delle peculiarità del libro. Pluralismo linguistico che se da un lato richiama alla mente gli antichi fasti letterari – poetici del napoletano, dall’altro arricchisce e rende scoppiettante il racconto. Nel quale rivivono, così, musicali modi di dire e parole esaustive nella loro bellezza e semplicità.

Chi ricorda più il significato di «è malacqua» usato per dire che si corre pericolo, o «viento ‘mpoppa», vento in poppa, utilizzato nelle zone di mare campane per augurare ogni bene alla persona a cui è diretto. Altro piano di lettura è quello che vede l’archeologia, di cui l’area considerata è vero e proprio scrigno, tra «fili» che danno sostanza alla trama e all’ordito del racconto. Un forziere che si rivela colmo di gioie sin dall’inizio allorché Leone (Pantaleone), il marito di Fortuna, scavando, di notte, lui che di giorno lavorava alla “ferriera” del Vesuvio, nel pezzo di terra avuto in eredità dal suocero, una trincea da destinare a fondamenta della nuova casa, si imbatte in una muratura antica «dipinta con figure soffuse di oro puro … svegliò la moglie e la condusse a vedere». E, come in tutti i racconti che si rispettano, non mancano le «esse» di «sangue» e «soldi» che l’autrice ha incastrato ricavandole dalle cronache dei fatti di malaffare registrati nell’ultimo mezzo secolo in quell’area. Come nel resoconto dell’arresto di Peppe ‘o Turzo e Tore ‘a Curdella, che «in manette, tentano, invano, di nascondere la faccia di cani mastini alle telecamere. Ricercati da tempo, sono stati sorpresi nel sonno a notte fonda nella villa “La Torretta”, ai piedi della Montagna. Gestivano il racket di rifiuti tossici che avvelena le terre della Fortuna».

Scena letteraria sottolineata con un «Lassa fa â Maronna!» quasi gridato da Fortunata che continua, parlando al televisore «Finalmente! Era ora! Non basta l’intera caraffa dell’Elisir, per attutire la puzza che ammorba l’aria quando appare la faccia di questi fetenti. Pure solo per televisione». E pare di sentire la voce di tante altre “Fortunate” che vivono nelle terre dei fuochi e dei veleni. Dove uomini come Peppe e Tore uccidono ogni giorno la gente e le speranze.

Giovedì 12 marzo alle ore 18 nel Foyer del Teatro Bellini a Napoli Matteo Palumbo, professore di Letteratura Italiana al Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Napoli Federico II e Marco Martone, giornalista, parleranno delle “Figlie della Fortuna” in una serata ricca di cultura con brani recitati dagli attori Cinzia Annunziata e Rodolfo Medina, allietata dalle musi che di Gennaro Venditto e Catello Tucci.

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