In seguito alla crisi del mercato delle pellicce e all’abbandono degli allevamenti megli anni 30-40 dovuto alla grave crisi economica e allo scoppio della II Guerra Mondialie, molti esemplari sono stati rilasciati in natura. Oggi la nutria, che vive lungo le sponde e gli argini dei corsi d’acqua, ha invaso il centro e nord Italia con piccoli nuclei isolati nell’Italia meridionale e nelle isole. Questa specie provoca notevoli danni alla vegetazione e quindi l’estinzione locale della fauna associata a tali ambienti, come ad esempio il Tarabuso (Botaurus stellaris) e il Falco di Palude (Circus aeruginosus). Inoltre puo’ fare dei danni diretti sulla fauna predando uova e pulcini di uccelli che nidificano a terra come il Mignattino piombato e il Tuffetto. La nutria puo’ provocare inoltre ingenti danni all’agricoltura per l’escavazione degli argini, che si indeboliscono, e per danni nei campi di cereali e riso.
Per Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, a proposito di questo in Italia esiste un grande pregiudizio, poichè la nutria è infatti assimilata, per il suo aspetto, ad un grande topo, e a questo si associa l’impressione che sia un possibile vettore di malattie pericolose per l’uomo. In realtà, le cose non stanno così in quanto i tanti studi epidemiologici e monitoraggi sanitari nell’area di origine della specie e nelle area di espansione, anche in Italia, illustrano una situazione che è analoga in tutte altre specie per il consumo umano che sono gestite in tutta sicurezza, grazie a norme precise a tutela dei consumatori. Pertanto da questo punto di vista si tratta di animali normalmente gestibili in una filiera di lavorazione per il consumo umano come la selvaggina minuta. La FAO la considera fra le specie più adatte per l’allevamento a scopo di integrazione alimentare delle famiglie rurali dei paesi poveri.