Spaccature e disordini interni: senza fine la crisi Pd a Pomigliano

pomigliano situazione politica

Senza fine la questione Pd Pomigliano. In preda a spaccature, disordini interni, poca compattezza, individualismi e personalismi. Ognuno tira l’acqua al proprio mulino, gli ideali e i valori sono spudoratamente messi da parte a favore dell’interesse, il loro ovviamente e delle cerchie. Tutti credono di essere nel giusto, i ragazzini di Caiazzo, appoggiati da ambientalisti, i giovani renziani fin troppo liberali per essere di sinistra che seguono Romano, qualche socialista che compare e scompare qui e lì, sel, nuova sinistra, nuova destra di sinistra. Le primarie si sono tenute l’8 marzo, entro il 30 aprile si dovranno presentare le candidature, i bambini dell’asilo continuano a giocare, vigila l’entusiasmo degli stolti. La schizofrenia e la frammentazione la fanno da sovrano, qualche giornalista vive, personalmente, inseguendo questa frenesia compiaciuto, in preda all’attenzione, vittima del piccolo particolare, cow boy con la lenza e i buoi, occhi diritti su quella che, oramai l’imperfetto è d’obbligo, era la città delle grandi fabbriche.

Che poi non sono loro, ma il loro steso autocompiacimento nell’essere informati e del web, pur agendo fuori da esso, come cimarosiani spenti nel verdeggiante dissenso opaco della cosiddetta informazione, che credono di fare. L’immagine è tutto, meno l’apparenza. Intanto Russo, sindaco, detto Lello ritorna in campo, appare di tanto in tanto su qualche tv locale, risponde con fare ascetico e stanco, un po’ scazzato, alle domande dei sudditi. Negli ultimi sei mesi s’affretta e s’adopra per finir l’opra, possibilmente non anzi il chiarir dell’odoroso maggio, ma appena dopo, tanto per lasciare qualche cosa sospeso, che poi è quello che si pretende d’aver fatto, il resto non è fatto per nulla. E resta tale. Dall’altro lato campeggia fiero e dimesso ad un tempo l’erede di Di Maio, il balbettio è d’obbligo, per entrambi allitterato, il candidato sindaco a cinque stelle, De Falco Dario. E lì la storia muta, cambia, per restare lampedusianamente così com’è. Ma almeno è il nuovo che avanza, si dice, almeno sono gli incorruttibili acerbi, acerbi come la locomotiva, ma no, loro sono l’originale, gli altri l’imitazione, dietro loro non ci sono i poteri forti, magari qualche comico che li sponsorizza, dal 2006 circa, da quando la carriera sembrava voltargli le spalle, se mai ce n’era sta una per chi pretendeva di parlare male di tutti, anche di giudici ed eroi e che ora li difende, è il sistema che uccide, sono le banche. Gli altri, tutti eroi, a posteriori ovviamente. E qualcuno ancora da venire, chi già c’è lo è, ma se non ne parla male o se parla male del Pd magari, o degli altri. Ah e poi dietro non ci sono poteri forti, solo Casaleggio. Anche lui uno sponsor.

E intanto a Pomigliano i tanti don Camillo, i tanti Peppone e gli ossequiosi protagonismi alla Ferrer. Et arma togae cedant. Il popolo ed i cittadini applaudono alle bestiole da circo, compiaciuti. Fra un po’ è maggio. Non adesso. Adesso contiamo qualcosa. Siamo cittadini, alla doppia cittadinanza che ci spetta di diritto, aggiungiamo scarsamente fieri quella di Pomigliano compiaciuti del pettegolezzo. Ma nell’aria nessuno forse sente qualcosa senza nome, perché consonanticamente forse non si può dire. Dove sono i diritti? Al valore che la sinistra e gli altri ideali hanno dato alla parola oggi siamo, siete, imbevuti di consapevolezza che non è così. I diritti non c’entrano col valore, no, ormai i vecchi partiti hanno fallito, il muro è crollato, epilogato l’impero, gli imperi. Oggi i diritti significano un’altra cosa, tutela dell’economia? Ma che! qualche contentino, diritti umani, i gay possono sposarsi, l’eutanasia sacrosanta, giusto che chi non abbia un figlio si faccia fecondare. Siamo tutti d’accordo. Questi sono i diritti di terza generazione. Lo dice anche l’Europa. Parare di diritti sociali, di comunità? Ma che scherziamo. Eccoli i nostri diritti, eccoci tornati all’illuminismo bigotto e sensista. Ecco possiamo dire: siamo individui, non persone. I diritti sono quelli umani, state buoni buoni, l’economia è un’altra cosa. Non centra. Il lavoro, l’Italia mica va fondata sul lavoro, sulla libera iniziativa. Il posto fisso. No, giammai, impigrisce, siamo peggio degli indios cui si dava la coca per tenerli svegli nelle piantagioni. Pigri. Pigri ed indolenti. Ergo, precari è meglio, magari ci svegliamo. Restiamo zitti zitti cittadini con i nostri belli belli diritti umani. All’economia ed al sociale ci pensano gli altri.

Giovanni Di Rubba

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