La Scuola Archeologica Italiana di Atene – nota con il suo acronimo SAIA – è l’ente, nato agli inizi del ‘900, che coordina in terra ellenica le missioni archeologiche italiane. Un ente che non promuove solo lo scavo e la ricerca sul campo ma anche un’intensa attività didattica volta alla formazione di studiosi e archeologi. Una vera e propria istituzione alla quale si sono legati anche nomi illustri dell’archeologia italiana.
Non capiamo però a cosa possa servire avere una sede di questa Scuola a Quisisana, in una location splendida e importante certo, ma “tagliata” fuori dalle principali coordinate geopolitiche che sostanziano l’attività e l’intervento della Scuola. Non capiamo, inoltre, perché intorno alla Reggia di Quisisana si continua a menar il can per l’aia, ignorando quella che dovrebbe essere invece la sua reale destinazione: la costituzione di un polo museale.
L’antica Stabia vanta più di 8000 reperti, attualmente accatastati in uno scantinato e in condizioni microclimatiche precarie. Reperti non solo ignoti al grande pubblico, ma anche una miniera preziosa di informazioni per gli studiosi, visto che ineriscono l’antico insediamento romano e tutto l’ager stabianus. A Quisisana, ma alla città di Castellammare tutta, serve un Museo. Una cornice all’altezza del suo passato e al tempo stesso punto di incontro di menti e talenti. Non una succursale di una nobile istituzione, peraltro già ramificata in diverse parti d’Europa. Ma soprattutto sarebbe avvilente una volta di più testare proprio a Quisisana il fallimento della politica culturale tentata per la valorizzazione di Castellammare, con la realizzazione di una cattedrale nel deserto che a poco servirebbe per il rilancio del mortificato territorio stabiese.
Angelo Mascolo