Dopo l’anteprima di mercoledì 15 aprile, consacrata al cinema surreale e straniante di Luis Buñuel (in particolare all’“Angelo sterminatore” e al “Fascino discreto della borghesia”), entra ora nel vivo il ciclo seminariale “Cene delle ceneri. Scene madri della borghesia a tavola”, curato da Francesco de Cristofaro e Matteo Palumbo (con la collaborazione di Ludovico Brancaccio) per il Master di secondo livello in Drammaturgia e Cinematografia diretto da Pasquale Sabbatino. Non una rassegna di film, ma un insolito ragionamento attraverso dodici opere che tematizzano la cena come «momento della verità», di feroce disvelamento o di madornale rincaro del discorso borghese, delle sue menzogne e delle sue contraddizioni.
Sei incontri – ogni mercoledì alle 15 presso l’aula 342 del Dipartimento di Studi Umanistici – dedicati ad altrettante «coppie» di pellicole, giudiziosamente assortite: il 22 aprile, “Gruppo di famiglia in un interno” di Visconti e “Metti, una sera a cena” di Patroni Griffi, ovvero cosa resta della famiglia, istituto borghese per definizione, dopo la grande trasformazione di costumi e di valori avvenuta a cavallo tra gli anni ’60 e gli anni ’70; il 29 aprile, “Festen” di Vinterberg e “The Dead” di Huston, ovvero la cena come momento dell’emersione di verità profonde, censurate, indicibili; il 6 maggio, “Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante” di Greenaway e “La grande abbuffata” di Ferreri, ovvero il cibo al centro di un’immane, micidiale aberrazione grottesca; il 20 maggio – dopo una pausa dovuta al convegno su Francesco Rosi – “Indovina chi viene a cena?” di Kramer e “Mangiare bere uomo donna” di Ang Lee, ovvero il rapporto tra padri e figlie alla prova, insieme, del dispositivo simbolico e sociale della cena e di una modernità sempre più lacerante; infine, il 27 maggio, “Lunga vita alla Signora” di Olmi e “Il pranzo di Babette” di Axel, ovvero la tavola come luogo di «verifica dei poteri», di incontro conflittuale fra il ricco e il povero, senza possibilità di una reale mediazione sociale. Questi film non costituiranno i soli oggetti del discorso, ma i due «fuochi» di questo; già nell’incontro di anteprima, infatti, hanno trovato posto anche “Pranzo alle otto” di George Cukor e un ulteriore film di Buñuel, quel “Viridiana” che il regista spagnolo trasse da “Halma” di Pérez Galdós, e in cui volle mettere in scena, in una casa borghese, una mostruosa abbuffata a sbafo da parte di una “corte dei miracoli” di poveri, con tanto di fotografia in posa di ultima cena.
Come spiega de Francesco Cristofaro, «approfittando dell’occasione, offerta dal Master, di ragionare su linguaggi dell’arte diversi da quello letterario, questo ciclo cerca di istituire un ponte ideale con il lavoro del nostri Opificio di letteratura reale, che da un anno e mezzo sta concentrandosi, nel solco dei recenti studi di Franco Moretti, sul tema della Borghesia. Non è un caso che, esattamente come avviene per i “seminari del lunedì” dell’Opificio, il principio dell’accostamento détournant costituisca l’idea-forza degli incontri di “Cene delle ceneri”. Né è un caso che anche “Cene delle ceneri” preveda, accanto alle lezioni tenute dai curatori, due incontri finali in cui saranno gli allievi stessi a illustrare altrettante “strane coppie” di film. Insomma, noi offriamo la matrice, cerchiamo di illustrare un (possibile) metodo attraverso una manciata di applicazioni; ma poi sta agli allievi cimentarsi con quel metodo, verificarne l’efficacia euristica o anche, perché no, metterlo in crisi o falsificarlo. L’esperimento non sarà stato inutile se la piccola comunità del Master avrà lavorato, insieme, su alcuni prodotti dell’immaginazione umana; e se lo avrà fatto con uno sguardo inedito e una reciproca trasmissione, orizzontale e originale, di esperienze estetiche».