Un Elefante a Pompei. Non è il titolo di un romanzo né il riferimento a qualche spettacolare evasione da circo. Nulla di tutto questo, signori. Ma solo la sintesi del rumore, elefantiaco appunto, che hanno prodotto i barriti dell’ex direttore de “Il Foglio”, Giuliano Ferrara, in merito all’ottimo stato di salute che il giornalista avrebbe riscontrato per il sito archeologico di Pompei. La vicenda è grottesca, credetemi. Anzi, dirò di più: quando ho appreso questa cosa ci ho persino riso su. Perché non si può non ridere di fronte a tutto quello che l’Elefante ha scatenato. Cito nell’ordine: Circumvesuviana tra i treni più belli del mondo, Pompei esempio di efficienza e pulizia e, dulcis in fundo, Forcella come la 50th Evenue.
Un sorriso allunga la vita, si è solito dire. Ma le esternazioni di Ferrara, al contrario, la accorciano sensibilmente. Perché l’Elefante entrato senza grazia nella questione Pompei, come si conviene a ogni buon pachiderma, non si accorge che sponsorizzare Pompei, esaltandone in modo sperticato le qualità e banalizzandone al contempo le criticità, vuol dire arrecare al sito un danno peggiore degli agenti atmosferici e del tempo. Perché, caro Ferrara, Pompei oggi non è un paradiso. E’ un sito malato, sepolto da una storia non troppo antica fatta di corruzione e malaffare, un sito nel quale si sono verificati crolli dovuti alla mano dell’uomo e non all’ineluttabile decorrere del tempo.
E quindi mi chiedo e ci chiediamo se la “sparata” contro l’informazione nevrotica, che a dire di Ferrara avrebbe l’unico fine di esaltare le negatività, non rappresenti invece il polo di carica opposta: ovvero sia la blandizia, la ciecità, la musciaria per dirla in napoletano. Se non fosse per la stima che, ancora, ci lega al personaggio Ferrara saremmo portati a credere che la sua posizione si avvicini a quella del prezzolato, una figura che non fa proprio onore all’informazione e all’essere giornalista.Fare questo mestiere, e Ferrara lo sa, significa raccontare. Sempre. Qualsiasi cosa. E Pompei oggi è un crepuscolo, un’operetta nella quale l’elefantiaca macchina burocratica dello stato si sta arenando, sottoponendoci all’ennesima brutta figura dei fondi europei arrivati ma non interamente utilizzati.
All’Elefante suggeriamo di risalire sul treno della Circum, a suo dire il più confortevole del mondo, e di ritornarsene a casa. Se e quando si sarà schiarito le idee, comprenderà da solo che alle macerie di Pompei avranno contribuito anche i suoi improvvidi, quanto inopportuni, barriti.
Angelo Mascolo