È difficile trattare determinati argomenti se si vive in provincia. E di Napoli. Ed è difficile anche spiegare a se stessi questa o quella sfumatura dell’amore se si vive quotidianamente sotto torchio.
Sarà ‘sto caldo africano che non ci molla da giorni, sarà che sono circondata da pancioni pronti a scoppiare ma, pensando a cosa trattare questa settimana, non mi viene in mente null’altro se non del trinomio “femmina-over 25-quando ti mariti e quando procrei”.
Le domande, le famose domande che tutti si son sentiti fare e che, non preoccupiamoci, anche noi faremo, hanno stancato. E non son poste a ogni vivente, sia ben chiaro, siamo noi, portatrici di ovaie, ad essere oggetto di interrogatorio by capere made in loco. Il peggior nemico della femmina è la femmina, nulla da obiettare.
- Cosa farai da grande? (dagli anni 15 ai 20)
- Dopo il diploma hai progetti? (estate post-maturità)
- E quando ti laurei? (anni 25 in poi)
- Ma stai lavorando? (post-laurea)
- E quando ti sposi/impegni con un uomo pubblicamente (si accettano pubblicazioni di matrice facebookina)? (dai 25 anni in poi)
- Hai figli? (se un compagno lo hai trovato).
Ho scritto l’ordine logico, a mio avviso, degli eventi ma posso garantire che tale ordine si presta a varie sovversioni. A un certo punto non si capisce più se sia fondamentale maritarsi senza lavorare, lavorare senza procreare, figliare senza maritarsi.
Su noi femmine è, da sempre, in atto una pressione molto scorretta. Siamo educate alla figliolanza, “non avrai altro fine all’infuori di gestire un UNGUEEEE”. E i fatti convalidano la mia tesi.
Partendo dall’infanzia, i nostri giocattoli sono stupide e mute Barbie sposa, mamma, maestra e Cicciobelli che defecano e piangono se la bimba non li accudisce. Non voglia il cielo arrivare ad anni 30, portati divinamente con utero giovane (parola del ginecologo) e non passeggiare col passeggino o avere il simbolo della accoppianza all’anulare. Nella migliore delle ipotesi, alla single “nisciùno s’ ‘a piglia”, diversamente partono le etichette, “ ‘a zitella” se si è acida, under 45 (con qualche speranza di essere pescata) oppure “ ‘a vizzoca”, over 45, gagliarda e tosta che ha appeso le speranze al chiodo. E non solo le speranze. Al chiodo.
Il meglio della “inciucessanza” vien fuori se di fronte c’è una che “uno ca s’ ‘a pigliata” lo ha. In questo caso, la femmina può appartenere a due categorie. Categoria A: è colpa di lei, lei che aspettando prima di dare un pargolo al mondo, s’è scacata. Categoria B: deresponsabilizzazione della femmina e colpa del maschio che “nun è buono”.
Il fallimento sociale è assicurato, non si può sfuggire alla natura tutta femminile di distributori automatici che, con l’accoppiamento, sfornano figli a ripetizione, manco fossero macchinette impazzite o alla sporadica natura, maschile stavolta, di essere agitati e pronti all’uso. Vivere senza ufficiale e ufficiosa relazione? Manc ‘e can! Poi ci si scaca e da zitella a vizzoca il passo è breve.
Rispondere a qualcuna della pila di domande, con ancora un filo di educazione, “no, grazie”, non indica fallimento, specie per noi femminucce. Si può essere compagne e madri di molto.
Si è madri e compagne di, oltre a figli e partner, progetti, idee, ricette, penne, planning di quel viaggio che un giorno farò, poesie, delusioni, ottimi risultati, borse, salvadanaio di 2€, scatti a coccinelle vere su fiori finti, chiavi e portachiavi. Ma molto altro ancora.
La lettura andrebbe accompagnato udendo un testo di Ombretta Colli, “Una pillola”.
Anna Di Nola