Sotto il sole di agosto, i restauratori della soprintendenza archeologica di Pompei, Ercolano e Stabia hanno avviato l'”operazione Schola armaturarum”. Il crollo di quell’edificio nel novembre del 2010 squarciò davanti al mondo il velo delle inefficienze del sistema della conservazione di Pompei e consegnò al mondo l’immagine di un Paese incapace di tutelare il proprio patrimonio culturale.
Nelle settimane scorse il soprintendente archeologo di Pompei Massimo Osanna, ottenuto il dissequestro dell’area, assieme agli architetti e ai restauratori del suo ufficio ha avviato lo “spacchettamento” delle rovine. Che in gran parte sono relative ai restauri moderni quando, dopo la ricostruzione voluta dal direttore degli scavi Vittorio Spinazzola nel 1916, l’edificio fu parzialmente distrutto dai bombardamenti alleati del settembre 1943 e rialzato da Amedeo Maiuri nel 1947.
Ed è cosi che, facendo attenzione a non alterare il microclima, i restauratori hanno verificato che la gran parte degli affreschi è sopravvissuta al disastro. Ora si procederà con la realizzazione di una copertura provvisoria, in attesa del restauro complessivo che sarà realizzato nell’ambito del Grande progetto Pompei 2.
Nei giorni scorso era palpabile la soddisfazione dei tecnici quando, rimosse le macerie, hanno potuto constatare che il cedimento aveva risparmiato la gran parte degli affreschi originali e delle murature antiche. La Schola armaturarum, luogo di riunione di un’associazione militare, per quattro anni e mezzo è stato il simbolo della rinascita bloccata di Pompei: grandi teloni bianchi ricoprivano le macerie del crollo, rinchiuse all’interno di una recinzione che impediva il passaggio su via dell’Abbondanza.
Pietre e calcinacci rimasti lì per quattro anni e mezzo, sequestrati dalla magistratura, una sorta di monumento all’incapacità dello Stato a difendere il proprio patrimonio. Ora via dell’Abbondanza è di nuovo percorribile, in attesa di un restauro che riapra il luogo ai visitatori.