L’archeologia della morte a Pompei: rinvenute urne funerarie e resti di un neonato/FOTO

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E’ in questo caldo mese di agosto che negli scavi di Pompei sta continuando uno dei progetti di indagine e ricerca più rilevanti e interessanti dell’intero panorama archeologico e antropologico.

Condotto da un team internazionale di professionisti provenienti da Italia, Spagna, Inghilterra, Usa, Canada, Australia, Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca, ecco l’intrigante progetto “Indagare l’archeologia della morte a Pompei: la necropoli e i fuggiaschi di Porta Nola”, che si pone l’obiettivo di trovare nuove informazioni sugli usi e i costumi degli abitanti dell’antica città tramite oculati lavori di indagine e scavo in quattro aree specifiche nei pressi di Porta Nola: nella tomba di Obellius Firmus, uno degli uomini più potenti ed influenti della Pompei d’epoca romana, continuando i lavori di ricerca condotti in loco negli anni ’70; nella tomba anonima, vicinissima al monumento dedicato ad Obellius, tramite l’ausilio di moderne indagini stratigrafiche; nel sepolcro nei pressi delle mura di Porta Nola, effettuando nuovi scavi di fronte alle enigmatiche iscrizioni lasciate sui mattoni che costeggiano il passaggio; infine, sui calchi dei fuggitivi di Porta Nola, recentemente divenuti le ‘star’ dell’intero complesso archeologico, con innovative indagini condotte tramite l’utilizzo della tecnologia 3D incrociata con accurati esami ai raggi X.

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A coordinare i lavori, col patrocinio della Soprintendenza dei Beni Archeologici di Pompei, Ercolano e Stabia, sono tre grandi esperti di fama mondiale nel campo di antropologia e archeologia: Llorenç Alapont Martin, del Departamento de Arqueologia del Ilustre Colegio Oficial de Doctores i Licenciados de Valencia y Castellón; Stephen Kay, della British School di Roma; e Rosa Albiach, del Museo De Prehistoria E Historia De La Diputación De Valencia.

A spiegarci l’importanza di queste ricerche sulla morte in campo archeologico ci pensa Llorenç Alapont Martin: “Questo progetto è molto importante perché la morte è uno dei momenti più rilevanti nella vita delle persone. Assieme alla nascita, la morte rappresenta un passaggio di notevole interesse poiché non solo coinvolge l’individuo, ma anche tutto il nucleo familiare di cui fa parte e, in alcuni casi, anche gran parte della comunità circostante.
Tramite la morte e i riti funebri riusciamo ad intuire molto sulla cultura e sull’ideologia delle persone: il loro modo di agire e di pensare, osservando in che modo si affacciano ad un momento tanto difficile e drammatico come in questo caso può essere la dipartita.
Capire come si comportavano i nostri antenati di fronte alla scomparsa dei propri cari ci fornisce degli elementi cruciali per comprendere meglio anche le ideologie che circondano il culto della morte contemporaneo.

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Per gli antichi romani la morte e i riti ad essa collegati erano un momento cruciale: da un lato, rappresentavano un modo per il nucleo familiare per liberarsi dalla sventura portata dal tragico evento della perdita di un membro della famiglia; dall’altro lato, erano un modo per spezzare i legami tra il defunto e il mondo dei vivi, facendo sì che il trapassato potesse finalmente liberarsi dai suoi legami terreni e dirigersi verso l’altro mondo”.

Per ora la campagna di ricerca ha portato ottimi risultati; infatti gli studiosi hanno riportato alla luce alcuni importantissimi reperti, tra cui, nella tomba di Obellius Firmus, due urne funerarie con tanto di resti umani, unguentario e monete; inoltre, nella zona delle sepolture vicino le mura, hanno rinvenuto i resti ossei completi di un bambino di circa tre mesi. Quest’ultimo ritrovamento rappresenterebbe una singolare scoperta, dato che in epoca romana, nonostante l’alto tasso di mortalità infantile accertato, non era comune offrire una sepoltura ad individui immaturi o, come in questo caso, ad un neonato.

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Mancano pochi giorni alla conclusione del primo ciclo di questo progetto che, visti i risultati, sicuramente continuerà anche nei prossimi anni; durante gli scavi e le indagini, il team internazionale si è trovato di fronte alcuni reperti decisamente rilevanti, ma quali sono le aspettative avvicinandoci allo stop dei lavori sul campo?
Alapont: “Un archeologo non si aspetta di rinvenire tesori inestimabili o di conseguire grandi risultati; semplicemente trova quello che c’è da trovare. Alla fine però, ciò che riusciamo a riportare alla luce supera sempre di gran lunga le nostre aspettative”.

Raffaele Cirillo

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