Basta fare una piccola ricerca in rete tra le notizie per verificare che quello delle piantagioni intensive di marijuana tra boschi e colture é un fenomeno in espansione e di difficile controllo da parte dello Stato.
I sequestri continui su tutto il territorio nazionale che si moltiplicano nella bella stagione – anche se non mancano colture in serra scoperte anche l’inverno – che vanno da poche decine di piante a decine e decine di ettari di coltivazioni di cannabis indica, la specie di canapa da cui é possibile ricavare l'”erba” ed i suoi derivati, evidenziano un quadro preoccupante che fa pensare alla difficoltà dell’effettivo controllo da parte dello Stato, da un lato perché troppo spesso dietro a quelle che sembrano innocue “piantine” (che per la verità arrivano anche a 4 metri d’altezza per svariate decine di chili di prodotto finale) vi é la criminalità organizzata e dall’altra perché la gran parte delle coltivazioni in questione risultano essere nascoste tra i boschi o altre colture così da mimetizzarsi nell’ambiente circostante.
Le notizie di cronaca, quindi, fanno riflettere e non poco che molto del prodotto finito che arriva tra i nostri giovani sia ormai di produzione, per cosi dire, “locale” e non frutto di traffici internazionali che sino all’inizio degli anni 2000 riguardavano le principali direttrici dei paesi dell’Est, su tutti l’Albania per l’erba, ed il Marocco e l’Afganistan per l’hashish. Un fenomeno, quindi, che per Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, dovrebbe spingere ulteriormente il governo a modificare le politiche sulle droghe leggere affinché colpiscano decisivamente il monopolio della criminalità attraverso una graduale legalizzazione e controllo del consumo.