Dopo quasi undici anni trascorsi dietro le sbarre per essere stato condannato ingiustamente all’ergastolo per due omicidi, un uomo Mirko Eros Felice Turco, 35 anni, di Gela, adesso è tornato definitivamente libero.
Infatti oggi diventa definita la sentenza d’assoluzione dopo 17 anni di guai giudiziari. Solo ora si è però arrivati a stabilire la sua innocenza, dopo che la sentenza è stata emessa dalla Corte d’appello di Messina che ha rigettato il ricorso della procura generale contro la revisione del processo che aveva scagionato Turco.
Accusato da sette pentiti di aver ucciso, all’età di 17 anni, un sedicenne di Gela, Fortunato Belladonna, il cui corpo venne ritrovato bruciato in un canneto sul lungomare, solamente nel 2008 Turco fu rimesso in libertà. Ora la sua assoluzione è definitiva. Turco era stato anche ingiustamente accusato di un altro omicidio, quello di Orazio Sciascio, un salumiere di 67 anni, ucciso sempre nel 1998. Nel 2012 si scoprì che anche in qual caso non c’entrava nulla e dopo una prima condanna fu assolto dalla Corte d’appello di Catania. Il salumiere, infatti, era stato ucciso da due mafiosi, Salvatore Rinella e Salvatore Collura, perché non pagava il pizzo.
Per Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, è il caso che, dimostra come l’infallibilità dei giudici non è che un mito poichè gli uomini sono condannati all’errore, e i giudici, sono uomini. L’errore giudiziario diventa sempre meno un episodio isolato per diventare un fenomeno collettivo, che può minacciare qualsiasi individuo del corpo sociale. La fretta nelle indagini, l’eccessiva fiducia accordata ai testimoni non sempre attendibili, la troppa importanza data alle presunzioni di colpevolezza e agli indizi sono tra i fattori che predispongono all’errore, ai quali va ad aggiungersi la pressione esercitata dall’opinione pubblica che desidera ad ogni costo trovare un colpevole, anche in mancanza di certezze irrefutabili.
Come in questo caso, dove pur tardivamente, Mirko Eros Felice Turco ha avuto la fortuna di imbattersi in un giudice capace di affermare la verità dopo anni di carcere, certificando così un errore che si poteva e che si doveva evitare prima.