Da domani solo facce cerulee e visi spenti sul luogo di lavoro perché parlare male dell’azienda su internet può costare il posto. È l’incredibile vicenda processuale accaduta ad un lavoratore – rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” – a portare alla ribalta un tema “carnevalesco” che però non fa ridere, quello del limite tra scherzo che non va punito e scherzo che integra addirittura una conseguenza censurabile con la massima sanzione disciplinare: il licenziamento.
La sezione lavoro del tribunale di Milano (giudice Chiara Colosimo) con l’ordinanza, ha stabilito il principio secondo cui il dipendente che sul social network posta foto scattate durante l’orario di servizio con commenti offensivi nei confronti del datore lede l’immagine dell’impresa. Le immagini postate sono visibili a tutti: gli amici dell’autore delle foto capiscono che le contumelie sono dirette all’azienda in cui lavora la persona che conoscono. E il contratto collettivo applicabile prevede l’immediata rescissione del contratto di lavoro nel caso in cui il lavoratore provoca all’azienda un «grave nocumento morale».
Quindi offensive, e dal tenore inequivocabile, le didascalie delle immagini pubblicate dal lavoratore, scattate a suo dire durante la pausa caffè, ma comunque quando l’orario di servizio non era ancora terminato («Ditta di m.»). E il contratto collettivo applicabile prevede l’immediata rescissione del contratto di lavoro nel caso in cui il lavoratore provoca all’azienda un «grave nocumento morale». Inutile invocare la legge Fornero perché è soltanto la tipizzazione dell’illecito favorevole al lavoratore che vincola prima il datore e poi il giudice: non può allora scattare la reintegra se la condotta addebitata è punita da Ccnl e codici disciplinari con sanzione espulsiva e non conservativa.
Da oggi la raccomandazione dello “Sportello dei Diritti” è quella di essere cauti prima di pubblicare sui social frasi o foto che potrebbero offendere la “reputazione” dell’azienda in cui lavorate.