All’Expo, esposizione internazionale, ci sono stata. Ho, fortemente, voluto mettermi in condizione di giudicare, di vedere, di capire, di immortalare. Di camminare.
Il tema scelto per l’ evento di Milano è improntato sull’ alimentazione, “Nutrire il Pianeta, energia per la vita”. I tanti Paesi partecipanti presentano il loro punto di vista su come innovare la produzione di cibo.
Centoquaranta e più Paesi espongono, ergono strutture che ricordano la loro terra, alcuni di essi sono raggruppati in cluster per tematiche comuni: riso, caffè, cacao, legumi, frutta, mare e molto ancora.
I visitatori generalmente raccontano dei padiglioni che più li hanno affascinati, i più sontuosi, i più ricchi, tralasciando l’attinenza del Paese alla tematica e all’investimento che lo stesso paese fa all’Expo.
E così riecheggiano come “da vedere” le partecipazioni del Brasile, Usa, Quatar, Emirati Arabi Uniti e Giappone. Se il tema fosse stato “Mostriamo i cimeli di famiglia” non potrei discostarmi ma lo scopo di ogni Expo è il dialogo dei partecipanti volto all’innovazione, partendo dal personale modus operandi a proposito di pappa, scienza, industria, manifattura, etc.
I blasonati padiglioni dell’Expo di Milano 2015 hanno confuso l’argomento comune, credo. Il tema chiave è stato tirato sì tanto da assumere connotati diversi e agli antipodi del primo.
I ricconi del nuovo millennio hanno esposto sul bancone la mercanzia, sbattendo in faccia alla Slovacchia il potere e i piccioli in dotazione. Tra accodati, da ore, fluttuavano emiri con calici pieni, non certo di acqua, e turbante bianco con sofferente seguito di uomini in giacca e cravatta.
I maestosi paesi, i soliti, hanno confuso un interessante tema, rivolto alla salvaguardia del territorio con occhio strizzato alla novità, con una agenzia di viaggi: “Da noi trovi spiaggia, sole, calorosità. Cosa vuoi di più?”. Pareti grossolanamente tinte con grandografie di fondali sottomarini e di vedute mozzafiato. È probabile che se avessi letto ovunque, avrei trovato anche il costo di una camera pernottamento e colazione.
Gran parte dei paesi con suffisso -stan hanno invece creduto di poter fare del loro padiglione un tavolo espositivo delle loro abilità manifatturiere, pellami lavorati a mo’ di ciondoli, tracolle li si ritrovava in ognuno, quasi, di essi. Non mancavano mausolei in legno deliziosamente intagliati. Ma non era un bazar. Tra un paio di sandali e una decoratrice con henné c’era qualche ciotolina di semi, chiamati in lingua autoctona, lingua locale. Pure una vegetariana con velleità vegane rimuoverebbe i semi di kurguhyian o gryypoltran. Non cercateli, non esistono ma l’impronunciabilità è ancora lì.
Non avrebbe senso dilungarsi sulla buona riuscita dell’Italia e del Padiglione Zero, il cui percorso si intreccia col racconto delle Nazioni Unite. Il paese ospitante e l’ Organizzazione internazionale per antonomasia devono per forza di cose e possibilità dare tanto e non deludere.
Poi c’è l’Angola. Discreta costruzione, scura, senza pretese e luci fluorescenti. Quanto gli dai all’ Angola dopo aver visto lo specchio russo, i giardini cinesi, le matrone ungheresi che cantano? Manco un bicchiere dell’acqua della Casa dell’acqua. Stanca delle chilometriche file per una sciocca rete brasiliana e di una altrettanto corposa coda per il bazar vietnamita, si entra. Curiosi pochi, climatizzatore assicurato e scale mobili. Ci si fionda e sorpresa. Era tutto lì. I lustrini erano creati da cascate di fagioli in tubi illuminati da calda luce, i progressi degli arnesi da lavoro mostrati su espositori con tanto di spiegazione, dal legno al legno e ferro. Cucina tipica e ricette, rapporti con l’Europa, investimenti del governo nel settore primario e secondario.
Certo, il Belgio ha proposto l’ acquaponica, modo di coltura fuori suolo; si alimentano piantine partendo da escrementi di pesci e la stessa acqua dei pesci è ripulita dalla piantina, il tutto in perfetta simbiosi. Presente anche l’idroponica che adopera un simile procedimento e la produzione di funghi commestibili aggiungendo a un sacchetto di fondi di caffè riciclabili dei micelio. Ma vogliamo paragonare le possibilità economiche del Belgio con quelle dell’Angola? Vogliamo confrontare l’avanguardia del Giappone con un qualsiasi micro-stato africano? Paradossalmente, quasi solo i piccoli paesi hanno centrato in pieno lo scopo dell’esposizione. E ragionandoci manco dovremmo stupircene.
Perché andare?
A. Non è come si racconta. Non si pagano esorbitanti cifre anche per l’acqua in bottiglia. Proprio l’acqua è erogata liberamente dalle tante case dell’ acqua, fresca, liscia e frizzante.
B. Lo scrutatore non votante non è più in voga.
Anna Di Nola