I relatori sono Marco Ferrazzoli, giornalista, capo dell’Ufficio Stampa del CNR, saggista e poeta e la scrittrice e critica letteraria Piera Mattei. Lettrice, Claudia Ambrosino. E’ presente l’autrice.
“Non è un romanzo di formazione in senso stretto, io lo definirei un romanzo di evoluzione, di trasformazione. Il protagonista lo incontriamo frate nelle prime pagine, lo incontriamo impaurito al suo primo contatto con la violenza, invece poi, nel corso del libro, apprendiamo che lui stesso si scopre un’attitudine a praticarla, la violenza, oltre che a subirla”. Esordisce Marco Ferrazzoli, dopo che Claudia Ambrosino ha dato inizio alla presentazione con la lettura del primo brano del libro.
“Per due volte Gladis decide di fare un romanzo d’impronta storica – prosegue Ferrazzoli -. Il Medioevo è descritto in forma filologicamente corretta e questa è la similitudine più evidente, però, al di là di questa similitudine i due romanzi son significativamente diversi. Nel primo (Ferrazzoli si riferisce a “Il cammino e il pellegrino” n.r.) c’era una coralità evidente per tutta la storia. In questo secondo romanzo Gladis decide di concentrarsi su di un personaggio e lo descrive come protagonista per la gran parte del libro, il che dimostra che, nonostante alcune impostazioni comuni, Gladis abbia avuto voglia, il che per uno scrittore non è poco, di mettersi in discussione e di rinnovare i propri contenuti e i propri codici, che è una cosa sempre importante”.
“… allora qual è la chiave vincente? Attraverso di questa descrizione, Gladis ci riporta a un’attualità di questi giorni. In questi tempi, in questi anni, abbiamo un Mediterraneo in ebollizione: scontri politico-religiosi al massimo grado, una multiculturalità che, a volte, è un elemento di ricchezza in cui si scoprono dei link, dei collegamenti di arricchimento reciproco ma, in gran parte, è una contrapposizione di mera violenza e sembra francamente il Mediterraneo dei nostri giorni. C’è una scena in cui Gladis descrive il tentativo di salvarsi andando a imbarcarsi su una nave che partirà e che è un tentativo che potrebbe essere la descrizione di qualunque viaggio della speranza, della disperazione dei profughi o immigranti o come li vogliamo chiamare del giorno di oggi, per cui io ribadisco la mia forte predilezione per questo romanzo che focalizza questo personaggio e attraverso ci da, a mio avviso, un’attualità che il precedente che si leggeva molto bene come romanzo storico, ancora non ci dava, quindi plaudo alla maturazione intellettuale e autoriale di Gladis.”
“Questo personaggio l’ho concepito dopo aver letto una piccola biografia di Ruggero di Flor -racconta Gladis – che era un frate Templare e faceva il corsaro per il Tempio, poi è diventato pirata e corsaro mercenario, prima per la Sicilia e poi per Bisanzio e allora mi è venuta l’idea di questo frate. Non di un templare, perché un frate templare è anche un guerriero, fare esattamente il contrario, un francescano per cui la violenza e la guerra non possono essere più lontane e così ho concepito fra Nerino”.
“C’è una cosa che mi ha sempre molto incuriosita: questi capovolgimenti di personalità, noi conosciamo una persona, crediamo di conoscerla anche profondamente e un giorno abbiamo davanti qualcuno che diciamo chi è costui? Ha le sembianze di quello che conoscevo, però, è un’altra persona ….. è come se una personalità latente all’improvviso o all’improvviso per chi lo guarda da fuori, si palesasse. In Nerino questa personalità latente ha dovuto trovare l’humus necessario per venire fuori; quando cade prigioniero dei pirati trova l’ambiente adatto per far crescere questa parte di se stesso che lui assolutamente ignorava”.
“Si tratta di un romanzo arditamente costruito, un romanzo di 450 pagine, un colpo di scena sull’altro, avventure, incontri, un romanzo che si legge senza un attimo di noia”. Così inizia Piera Mattei il suo intervento.
“Gladis Pereyra ha scritto queste molte pagine, intrecciando l’una all’altra tutte queste avventure per il puro piacere della scrittura romanzesca. Direi che questo libro ha i caratteri del romanzo puro, che in parte persino travolge le intenzioni dell’autrice perché le intenzioni sono interne alla stessa sua qualità letteraria, qualità dell’opera e qualità dell’autrice”.
“ … ho pensato infine che dovevo cercare ancora un classico più classico, dovevo arrivare ai poemi eroici e, in particolare, all’Odissea.
Lì ritrovavo il mare, le navi, l’avventura, i combattimenti feroci ma soprattutto ritrovavo un dato fondamentale: la bellezza come tratto distintivo dell’eroe”.
“Di Nerino sappiamo la nobilissima casata … ma soprattutto sappiamo che è bello. Questo aggettivo, e il termine bellezza riferito a lui, sono ripetuti infinite volte. Quindi anche se uccide e ordina assalti e stragi, Nerino non è malvagio. Un volto e un corpo di una bellezza senza difetti, è fuori dalle categorie dell’etica. Kalagatòscome dicevano i greci”.
“Come nell’Odissea il protagonista è circondato da compagni che lo seguono, che non possono eguagliarlo, che non possono non amarlo e rispettarlo. I personaggi maschili minori sono qui assai ben tratteggiati: il gigante Theo, il violento e melanconico meticcio Nikos…”
“Tutto avviene sulle navi. Infatti, la terminologia marinara delle imbarcazioni dell’epoca è usata, con grande abilità degna veramente di ammirazione, nell’illustrare le manovre della nave”.
“Molto ben descritta è questa società di « mercanti », che non sono veri mercanti, o lo sono perfino troppo, veri predoni che rincorrono le navi per rubare le merci e chiedere il riscatto per i prigionieri, o venderli se sono giovani. Nella seconda parte del romanzo è in evidenza la rivalità tra le due più potenti città marinare, Genova e Venezia. Inserendosi, infatti, astutamente nelle maglie di questa rivalità, Nerino s’evolve da pirata a corsaro– cioè ladro e predone per conto di una città–stato e con l’avvallo di quella– contro l’altra”.
“Ripeto c’è molta naturale bravura in questa scrittura. La pagina non conosce « a capo » e scorre via compatta appunto come, quando si usava la pellicola, compatti scorrevano i nastri delle riprese. E come in un buon film d’azione non ci sono pause non ci sono momenti morti o, se vogliamo restare nel gergo del mare, non ci sono bonacce”.
La serata si conclude, nel bel giardino della Casa delle Letterature, dove viene offerto un vino con “empanadas”, una specialità tradizionale argentina.