Il termine sinodo deriva dalle parole greche “syn” e “odos”, letteralmente strada comune. Quella che ricerca la Chiesa con il sinodo ordinario della famiglia, che si inaugura a Roma il prossimo 5 ottobre. «Dovrà essere un cammino insieme, un percorso solidale, anche attraverso confronti accesi. Come ha detto Papa Francesco, al termine del sinodo straordinario dello scorso anno, “Qualunque sia la situazione di ogni famiglia, essa deve essere accolta, ascoltata, accompagnata”».
A parlare è Antonio Piccolo, membro di Separati Fedeli – associazione di diritto canonico nata a Milano nel 2001 -, dell’associazione nazionale Famiglie Separate e – da febbraio scorso –dell’Ufficio Pastorale Famiglia della diocesi di Napoli. Ufficio di cui fanno parte anche i coniugi D’Orsi-Delectis, divorziati risposati con il solo rito civile.
«Un’apertura, quella dell’arcidiocesi di Napoli – continua Piccolo -, voluta dal cardinale Sepe per contribuire ad un’accoglienza non solo formale. Una scelta pastorale coraggiosa, che presuppone un cammino nuovo, un ascolto ed un accompagnamento».
Lei da sempre caldeggia la riammissione ai sacramenti per le persone risposate o per quanti vivono una situazione di convivenza. Come si concilia questa apertura con il principio dell’indissolubilità del matrimonio?
«Bisogna partire dall’approfondimento della dottrina del magistero, che sono da una parte la piena fedeltà al Vangelo e dall’altra l’integrazione di questi fratelli battezzati nella Chiesa e nella liturgia. Penso, ad esempio, per essi alla possibilità di portare i doni all’altare. Mi aspetto che i padri sinodali sappiano coniugare dottrina e pastorale. Da studioso della dottrina sociale della Chiesa già nel documento Gaudium et spes si esorta la Chiesa a guardare le esigenze concrete del popolo di Dio, facendosi prossima. Ciò ha trovato un fautore attento in Papa Francesco. Il pontefice parla spesso di accoglienza, compassione, misericordia; sente urgente la necessità di curare le famiglie ferite».
La necessità di convocare un sinodo sulla famiglia ed il richiamo alle sfide pastorali dicono di certo la volontà della Chiesa di ricerca di un collegamento tra realtà che non dialogando finirebbero per ignorarsi.
«In questo sforzo d’incontro e di soluzioni condivise bisogna superare il diritto canonico per divenire diritto ecclesiale. Infatti, nella Relatio sinodi sembra che vi sia un’ipotesi chiara, tale da potermi far affermare che la missione della Chiesa, quella paventata da Papa Francesco, deve essere non un annuncio teorico, ma una valutazione dei problemi reali della persona. La crisi di fede, l’individualismo esasperato sono diventate delle costanti di vita che sommate al disagio relazionale dei coniugi portano alla crisi del matrimonio».
Come si pone lei nei confronti della separazione?
«La separazione permette di inventare un futuro. Ci si separa solo se si è stati uniti, legati, ma niente viene soppresso, il tempo viene diviso ma non il cuore. Accompagnare significa essere vicino a quanti da soli non sono in grado di passare il guado, affrontare nuove prove, attraversare la frontiera. Bisogna costruire un ponte, confrontarsi con l’impossibile: una realtà sconosciuta o che viene conosciuta in vesti diverse. Credo che un nuovo amore sia un surrogato del vecchio amore».
Lei è tra quelli che afferma che bisogna rivedere i corsi prematrimoniali, racchiusi in un lasso di tempo limitato, ed è tra i fautori di un’apertura formativa per i giovani fidanzati. Nella diocesi di Napoli vi sono novità?
«Sì! Sabato 19 settembre nella splendida cornice dell’Istituto San Michele di Castellammare, alla presenza di monsignor Mario Cinti, vicario episcopale per il settore laicato e di don Alessandro Mazzoni, direttore dell’Ufficio Famiglia Diocesano, è stato presentato il sussidio “Ti amerò per sempre” per fornire indicazioni progettuali e metodologiche di passaggio dai corsi prematrimoniali ai percorsi di vita attraverso ben quattro tappe: una preparazione remota per gli adolescenti, una prossima per fidanzati lontani dal matrimonio, una immediata per i nubendi ed una permanente fatta di dialogo, di sostegno e di crescita alle famiglie dopo il fatidico sì. Da questa colonne ho l’obbligo di dire un grazie a Roberto Amodio – dell’Equipe Pastorale Famiglia per il lavoro svolto in questo senso».
Cosa bolle in pentola, invece, per una pastorale unitaria rivolta a separati e divorziati?
«Capire e prevenire le difficoltà prima ancora di accogliere le persone che hanno alle spalle un matrimonio finito. Questo è un servizio alla comunità, questo è avere cura dell’altro, fermarsi davanti all’altro ogni volta che ne faccia richiesta».
Lei ha in mente un progetto?
«Sì, tra moglie e marito mettici il dito. E penso ad un call center diocesano in cui accogliere le coppie in crisi, capirne i motivi, creare una rete di psicologi, sessuologi, che possa vagliare i problemi della coppia e fare in modo che dalla crisi sia possa rinascere. E laddove risultasse impossibile, mettere a disposizione un mediatore familiare in grado di accompagnare la coppia alla separazione con il minor dramma possibile tenendo conto degli eventuali figli minori.»
Tutti d’accordo per una via penitenziale per separati e divorziati. Ma quali modalità per realizzarla?
«Occorre partire dagli errori commessi ed essere pronti ad un vero discernimento. La presa di coscienza riguarda la consapevolezza di aver fallito rispetto al disegno di Dio. Il pentimento schiude al cambiamento interiore. Ricordiamo, però, che quando c’è una unione con nuovi figli vuol dire avere assunto un impegno morale che fa leva sul bene di coppia e il bene spinge sempre alla conversione».
Michele Di Matteo