La cultura dell’Occidente, la cultura dell’Oriente: una strada contro lo smarrimento

situazione attuale graziaL’attuale situazione globale ricorda lo sfacelo dell’occidente sotto i colpi assordanti della minaccia barbarica. Un’orda di popoli che giungevano nelle terre ove il sole tramonta, con la loro cultura e con la loro Weltanschauung e che avrebbero per sempre corroso l’essenza dell’uomo e della terra, le loro anime, se non fosse giunto un intervento provvidenziale.

Popoli eterogenei, che non analizzeremo singolarmente, ma di cui come detto interessa la cultura, una cultura che andava imponendosi, gradualmente, lustro dopo lustro, decennio dietro decennio, secolo su secolo. Una cultura che contaminò Roma, sotto i colpi di un quadruplice assedio, la cultura Ellenistica, lasciva e dotta ad un tempo, colma di uno spiritualismo materialista, la cultura Orientale, che oramai da secoli aveva introdotto un personalismo esasperato ed un culto di sé oltremodo inumano e tendente ad una voglia di immortalità dell’individuo e non del valore, corrompendo e dissacrando prima le magistrature repubblicane e poi imperatori e funzionari.

Ambedue le culture, l’una il rivolto dell’altro, avevano in comune il desio sfrenato e la brama infame di rendere l’uomo dio, di vederlo assiso nel tempio e non nel foro, ma non divinizzando con la virtù l’essere umano ma erigendo il disvalore ed il vizio ad attributi divini ed in tal modo l’uomo più che tendere a dio portava dio alla terra, lo umanizzava, svuotandolo e svuotandosi sino a sguazzare nel fango. Poi il corpus disomogeneo di popolazioni barbariche, quelle della seconda migrazione, popoli nomadi o costretti al nomadismo per l’avanzare di mongoli e tartari, popoli glaciali non ancora scioltisi come quelli della prima grande migrazione, di cui stiamo parlando. Tali popoli portavano con sé un patrimonio ancora più umano, un culto del divino non più animista ed edenicamente puro ma nemmanco colto. E portavano con sé un nuovo americanissimo costume, quello dell’idolatria del volgare e del kitsch, la bestialità mediana e grezza ma non più limpida. E poi i giudei, in particolar modo i seguaci di Gesù detto il Cristo. Ora, non dobbiamo pensare a questi ultimi “invasori” come ad un corpus unitario e ben definito, sin dai primordi l’ecclesia era un coacervo di fazioni unificate però sotto l’unico vessillo del Risorto. A partire dalle arcaiche divisioni tra discepoli e Paolo di Tarso, il Saulo persecutore di Cristiani convertito sulla via di Damasco, con affianco l’evangelista macedone, il medico Luca, autore anche degli Atti degli Apostoli.

I primi, soprattutto Giacomo, fratellastro o cugino di Gesù, e Pietro, che restano fedelissimi alle tradizioni ebraiche tra cui la circoncisione ed il divieto di mangiare carni impure contaminate dai sacrifici agli idoli e che per un primo tempo sono scandalizzati dai modi di fare di Paolo che converte in massa, accoglie tutti, non solo gli ebrei e diffonde a tutti il credo della Chiesa che va formandosi e gli insegnamenti del Cristo. Secondo alcuni, come ci riporta brillantemente Emmanuel Carrère nel suo romanzo “Il Regno” addirittura l’Apocalisse di Giovanni sarebbe rivolta spesso ai seguaci di Paolo, identificati erroneamente con i Nicolaiti.

Ad ogni modo è proprio il modus operandi paolino che riesce ad adeguarsi e a plasmarsi all’interno del mondo di Roma antica al declino e delle sue stesse istituzioni. Ed è proprio questa amplissima permeabilità, duttilità, attitudine all’adattamento che consentirà, una volta eretta in maniera istituzionale composita la Chiesa, di sostituirsi ai decadenti strumenti di controllo governative Romani. Non a caso sin dall’origine le Diocesi sorsero proprio nei luoghi in cui vi erano le Prefetture civili, con la medesima competenza territoriale, e fu facile per quelle prendere il posto di queste.

Oggi la situazione internazionale è in bilico, e detta così non sarebbe tanto una novità, lo è sempre stato, tartari, islamici, ottomani, nazisti, russi. Ma c’è la crisi, e la crisi anche non è una novità, ma di questo tipo sì. Sono contrapposti due nemici, alleati di fatto, e questa volta uniti insieme sotto l’unico vessillo del liberismo esasperato, laici e musulmani, i seguaci dei due falsi profeti, dei due maestri dell’arroganza, Maometto e Lutero. Lutero, che ha dato il via al laicismo, ponendosi sin da subito in un’ottica di protesta nei confronti del sistema vigente non solo di quello religioso. Ma partendo da quello. E sì perché si parte sempre dalla religione, è quantomai inevitabile, su questo Marx sbaglia di grosso, e guarda caso non è la prima volta, il primo traditore del comunismo è proprio Marx, come Bakunin dell’anarchismo. E sbaglia e sbagliano, sbagliano le sovrastrutture, l’economia è al secondo gradino, anch’essa una sovrastruttura come politica e diritto. Lo è. Punto. E si vede, e si sente, considerando che non siamo bestie da soma né lupi o falchi, o volpi, o aquile gloriose. Siamo quello e siamo questo, e siamo di più, scintille divine, superiori anche ad angeli e demoni, perché dotati di corpo, che le nostre anime degli andati riotterremo un giorno, che un giorno che noi perderemo riotterremmo nel trapassato futuro, che è imminente o lontano, ma comunque qui ed ora.

Connubio orribile, mostruoso, il seicentosessantasei al compimento, l’ànthropos nel suo pieno compimento, il liberismo figlio del luteranesimo, la violenza barbara di una religione che perverte i costumi, accanto ad un’altra che li opprime, due forze estreme schierate affianco, la fine dell’uomo, l’imposizione dell’individuo sulla persona.

L’occidente, che si sente evoluto da questo laicismo protestante, da questa mania di europeismo ed americanismo che si pone nell’ottica dell’economia e talora del diritto, in quest’ultima ottica soltanto, ovviamente, quando si tratta di tutelare l’individuo e le sue libertà prenovecentesche. Si è smarrita la persona, non ci sono uomini più al mondo, ci sono macchine, macchine che rinunciano a gran voce a Dio, costruttori di babeliche torri, con i kalashnikov puntati al cielo e con le monete d’oro gettate al popolo schiavo. Alienato dalla tecnologia. E l’ISIS avanza servendosi degli strumenti occidentali. E quando avanza una “potenza” per quanto fanatica ed idiota non sarà possibile allentarla, frenarla, discuterci, placarla. Perché noi occidentali odierni, figli del consumismo luterano-calvinista e della sua derivazione ateo-laica, non abbiamo valori autentici. Ed il trastullo delle ideologie perverse, germoglio di ogni totalitarismo, è proprio la mancanza di idee. Le zone morte, di silenzio assordante. Le zone ove si dice la nostra ideologia è il danaro, stampa su carta straccia, la nostra ideologia è il luccichio del sonno del cuore, il baratro della perversione sessuale non fine a sé ma all’interesse, al potere, alla moneta. Gli islamici potranno corrompere le giovani menti con i loro arzigogoli violenti, quelle stesse giovani menti che, figlie della tecnologia ed estraniate al mondo, sparano nei nostri college e nelle nostre università. Le stesse giovani menti che per sede di guadagno si arruolano tra le fila delle mafie. E’ il liberismo esasperato il vero nemico assieme alla violenza che lo sottende, all’Hobbes che vince Rousseau, al mors tua vita mea. Facile passare dalla new age al musulmanismo stolto di quattro idioti che intendono arricchirsi.

C’è poi la paura, che come sempre approfitta del più debole per offrirgli rifugio, ed a pericolo scampato caccia fuori le zanne. E parlo dei totalitarismi che da sempre si alleano con i popoli liberi per soggiogarli un giorno.

Ed è facile cedere alla tentazione distruttiva. L’amore può salvare tale barbarie, l’amore puro, quello del Deus Caritas Est, enciclica del 2005, la prima del pontefice emerito. La beneficenza che non è falsità, il mercato spazzato via e regolato dal sentimento eterno. L’agape che non degenera nell’eros, ma sa attendere, l’amore che è ricerca dell’amata o dell’amato nel privato, ricerca del frutto maturo e saporito che germoglia dai nostri talentuosi semi nel lavoro, ricerca di Dio come nutrimento eccelso e sintesi dell’una e dell’altra ricerca.

E poi c’è la donna, la vera salvezza qui sulla terra, colei che fa pregustare il sapore del paradiso, ed è lei l’umanità tutta e tutta l’armonia dell’universo. Ed è lei che in questa epoca cibernetica, la nostra, sta divenendo vittima forse più del passato, perché l’attacco alla donna è oggi un attacco silente in occidente, la donna che non cerca più la grazia, ma la sensualità ed il potere. E se la donna perde la grazia l’uomo non sopravvivrà, sperso nelle sue cacciatrici brame di potere. La grazia non è l’eterna gioventù della chirurgia estetica, non è la donna liberista, la grazia è ciò che distingue gli esseri umani dagli altri sensienti. Perdere la grazia è perdere sé. E l’altro attacco, quello manifesto, dei musulmani, la donna è mercificata, qui non dal liberismo ma dalla brama di possesso, che deturpa la rosa staccandone il gambo, che la cela all’umanità col velo e non la ingrazia, ma con l’ingordigia del mercante la tiene sotto la mattonella come pietra preziosa, reificandola perché non più unica né libera.

Lo sguardo di una donna, simbolo della grazia, la ribellione mossa dal sentimento e dall’amore, tipica di giovani ed adolescenti, salverà il mondo. E l’utopia è solo la scusa degli ipocriti per lasciare le cose come sono.

L’essenza femminea che è in noi e che è nell’altro è il ponte che conduce all’assoluto, il nostro sguardo è l’assoluto, lo sguardo degli altri, di tutti gli altri, è la luce del divino, il sorriso dell’infinito. L’essere umano è questo, non la rozza immago del potere guadagnato a colpi di clava, che sia arma bruta o arma di frode.

Giovanni Di Rubba

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