Il cambiamento nella composizione dei gas emessi in superficie potrebbe rappresentare un segnale significativo di eruzione vulcanica in pochi giorni o mesi
Quando il magma forma bolle di gas, quello emesso in superficie registrerebbe un cambiamento nella composizione, fornendo così un potenziale segnale di allerta precoce. A dirlo un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – Osservatorio Vesuviano di Napoli (Ingv-Ov) e delle Università di Oxford e Durham nel Regno Unito, che ha condotto una ricerca (Late-stage volatile saturation as a potential trigger for explosive volcanic eruptions), recentemente pubblicata su Nature Geoscience.
“Abbiamo utilizzato, come caso di studio, il vulcano dei Campi Flegrei, nell’area napoletana”, spiega Roberto Isaia, ricercatore Ingv-Ov. “Questo vulcano ha eruttato per l’ultima volta nel 1538, ma è tuttora attivo e costantemente studiato e monitorato dall’Ingv. Proprio gli studi e le ricerche su tale vulcano sono stati la base per una collaborazione con l’Università di Oxford che va avanti da alcuni anni e i cui risultati sono stati già oggetto di pubblicazioni scientifiche”.
Nel caso specifico i ricercatori si sono concentrati sullo studio di materiali generati durante un’eruzione vulcanica esplosiva avvenuta circa 4.000 anni fa ai Campi Flegrei. Attraverso una nuova metodologia di indagine sui cristalli di apatite, messa a punto all’Università di Oxford, è stato possibile ricostruire l’evoluzione del magma nel tempo, fino ai processi che possono innescare un’eruzione esplosiva. Studi precedenti avevano ipotizzato che le eruzioni sono determinate da un incremento di pressione nel serbatoio magmatico sotto il vulcano, in seguito ad un lento accumulo di gas, in un tempo da decine a centinaia di anni. Questo lavoro indica, invece, che le condizioni esplosive possono innescarsi anche in tempi più brevi (ovvero mesi e giorni). Da qui l’idea che la rilevazione delle condizioni di saturazione dei gas nel magma possa essere una metodologia utile per la sorveglianza dei vulcani.
“Aver provato che questo nuovo metodo funziona sul vulcano dei Campi Flegrei, considerato anche che l’apatite è un minerale presente in molti sistemi vulcanici, potrà stimolare l’interesse ad applicare ad altri vulcani questo metodo per individuare comportamenti simili”, prosegue Isaia.
Questa ricerca aiuterà la comunità scientifica anche a perfezionare cosa misurare dei vulcani e il modo in cui interpretare i segnali del monitoraggio a lungo termine già diffusamente utilizzato dai vulcanologici.
“Da qualche tempo è stato osservato che alcuni vulcani eruttano con poco preavviso (ad es. Rabaul – Nuova Guinea). Ora nuove ipotesi potrebbero spiegare il perché di queste eruzioni improvvise e suggerire nuovi modi per sorvegliare vulcani attivi e quiescenti”, conclude il ricercatore dell’Ingv.