E’ morto ieri Umberto Eco all’età di 84 anni. Scrittore, cultore della lingua italiana, filosofo, semiologo, storico collaboratore della Repubblica e de L’Espresso aveva recentemente creato una propria casa editrice rifiutando di continuare a collaborare con la Mondadori che, nella fusone con la Rcs, aveva perso il suo consenso.
Non si nascose mai dietro un dito, al punto da firmare, nel suo lavoro con il Manifesto, pezzi polemici anche a destra e a sinistra, per esempio contro Pasolini, con lo pseudonimo di Dedalus.
Laureatosi in filosofia nel 1954 all’Università di Torino con una tesi sull’estetica di San Tommaso d’Aquino (durante gli studi perse totalmente la sua fede cattolica, al punto da dichiarare che lo studio di San Tommaso lo aveva guarito dalla fede), iniziò a interessarsi di filosofia e cultura medievale, campo d’indagine mai più abbandonato, anche se successivamente si dedicò allo studio semiotico della cultura popolare contemporanea arrivando a dedicare un saggio a Mike Bongiorno, nel momento della sua massima popolarità.
Di notevole importanza anche il suo impegno nel mondo universitario: Torino, Milano, Firenze e, infine, Bologna dove ottenne la cattedra di semiotica e divenne professore ordinario. Ebbe anche un ruolo fondamentale nella nascita della facoltà di Scienze della Comunicazione.
“Il nome della rosa”, “Il cimitero di Praga”, “Kant e l’ornitorinco” sono solo alcuni dei lavori che ci ha lasciato. Non solo narratore ma amante della lingua e del buon uso della parola, Umberto Eco, cosciente della forza che la parola abbia, ci ha affidato un vademecum di quaranta regole per scrivere bene, una lista ironica e geniale che arriva anche ai giovanissimi persi nei meandri della comunicazione da sms.
Dovrebbe uscire quest’anno con la nuova casa editrice di Elisabetta Sgarbi, La Nave di Teseo, l’ultimo libro di Umberto Eco, “Pape Satàn Aleppe” saggio che raccoglie Le bustine di Minerva (la rubrica di Eco sull’Espresso) dal 2000 a oggi (l’ultima del 27 gennaio dedicata alla mostra sul bacio di Hayez), “legate al tema della società liquida e dei suoi sintomi”.
Eco rifiutò le cattedre che l’America anche per il suo rapporto molto stretto con la penisola italiana e in particolare con la sua Alessandria in cui era nato e di cui parlava il dialetto, con Milano che amava con la sua casa biblioteca al Castello, gli amici, la famiglia, la moglie Renata e i due figli.
Tutti nei prossimi giorni daranno del “maestro” a Umberto Eco per le sue pubblicazioni, per i suoi libri e per i suoi impegni universitari ma durante tutta la sua vita ha dovuto combattere con gli attacchi che gli venivano mossi dal mondo culturale italiano che non accettava il suo modo di porsi o di comportarsi. La morte, diceva Foscolo, è dispensatrice di gloria.
Memorabili le sue citazioni, e in un mondo contemporaneo dove la lettura, e di conseguenza la cultura, è esclusiva di un piccolo numero di persone, vogliamo salutarlo così, con la frase che più lo ha reso celebre: ”Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito perché la lettura è un’immortalità all’indietro”.
Marianna Di Nola
Gennaro Esposito