Tra i numerosi misteri irrisolti che avvolgono la vita e l’opera di William Shakespeare, c’è quello riguardante il nome al quale il poeta dedicò i suoi Sonetti. Si tratta di due iniziali, W. H., indecifrabili, e sulle quali tanto è stato ipotizzato e scritto.
Ruggero Cappuccio, scrittore e drammaturgo, fu ispirato da ciò per realizzare Shakespea Re di Napoli, atto unico che calca i palchi italiani ed esteri da oltre vent’anni, e che sarà in scena, da mercoledì 2 marzo 2016 alle ore 21.00 (repliche fino a domenica 6), al Teatro Nuovo di Napoli.
Interpretato da Claudio Di Palma e Ciro Damiano, l’allestimento, presentato da Teatro Segreto, si avvale delle musiche a cura di Paolo Vivaldi, le scene e i costumi di Carlo Poggioli, le luci Giovanna Venzi.
La vicenda dei Sonetti diventa nelle mani dell’autore un pretesto per realizzare un’operazione artistica affascinante, che pone in relazione due universi apparentemente incomunicabili, quello del teatro elisabettiano e quello del barocco napoletano, e compie un’ardita sperimentazione linguistica. Ma, al contempo, assurge a riflessione sul valore e la musicalità della lingua partenopea.
L’opera è ambientata nel castello del viceré di Napoli, che, in una misteriosa notte di Carnevale, si popola di presenze insolite e suoni presaghi: sono i segni della sfida impietosa tra l’autore, il genio, la bellezza e la morte dei quali rendono protagonisti, in un dialogo serrato e poetico, Zoroastro e Desiderio, alla ricerca del misterioso W.H. al quale Shakespeare dedica i suoi 154 Sonetti.
«In molti – così Ruggero Cappuccio, che della pièce è anche regista – hanno teorizzato interno all’origine ispirativa dei 154 Sonetti di Shakespeare. Da un’attenta lettura dei versi si deduce che il giovane amico ‘…dai profondi occhi sognanti…’, per il quale Shakespeare innalzava il suo canto struggente, doveva essere una persona in grado di rappresentare un fattore vitale per l’evoluzione dell’arte drammaturgica del grande William. In Shakespea Re di Napoli il mistero dei Sonnets si addensa in una storia in cui le antiche suggestioni legate a Willie Huges e l’attore fanciullo del teatro elisabettiano, sfociano in un racconto che nella fantasia e nella forza immaginativa pone radici per una pura in intuizione poetica sulla natura dei Sonetti».
Di qui, attraverso la forza e la magia della lingua napoletana del Seicento, si dipana un testo che unisce la goliardia al dramma profondo, alimentato da alcune inesauribili fonti spirituali dalle quali l’uomo attinge da sempre per realizzare l’arte: l’amore, il genio, la bellezza, la morte.