Donne, l’8 marzo chiudiamoli fuori dal museo

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Donne? Siete in attesa? Ecco la zona di parcheggio rosa.

Donne? Siete sole (e sempre più sòle)? Eccovi tutorial anche sul come pelare le patate.

Donne? Siete scordarelle? Eccovi l’app per ricordarvi giorni rossi, rosa, sfumati e che annusano il puzzo al posto vostro.

Donne? Siete delle beate capre? Eccovi il museo aperto per voi, solo per voi. Proprio l’8 marzo.

 

Ci manca solo l’abbattimento della barriera architettonica e siamo a posto. Dateci ancora la separazione tra classe scolastica  maschile e femminile affinché il nostro starnuto non vi contagi, dateci strade senza marciapiedi a cui lasciare tranne di pneumatici, dateci il giorno mondiale della panciera, dateci l’inno alla ritenzione idrica e vi saremo per sempre grate. E già che ci siete, dateci un mondo rosa shocking ché scioccato lo è già.

‘Sta trovata dell’ingresso gratuito nei musei solo per le donne nel giorno della nostra contemplazione dà un fastidio atroce. È già fastidioso avere, solo noi, la giornata mondiale. Chi la ha la giornata mondiale? I mici, i cani, le pustole, le larve, il verde, la bontà, la pazienza…

 

 

Continuamente sguazzare in questa considerazione di inferiorità, di imparagonabilità ai portatori de “Il pendolo di Foucault” dovrebbe issare il malcontento delle masse e delle massaie. Non solo mi si riconosce un giorno di festeggiamento ad sessum (come se il mio umano valore debba essere ricordato perché c’è il rischio che te lo scordi) ma mi si indica anche come e dove passarlo? Non ci siamo, non ci siamo proprio.

La parità dei sessi (di quali sessi, poi, ché ultimamente ci sono confusioni in merito) è sicuramente vicina all’utopia e, in qualche modo, realizzabile laddove si accettasse che in alcuni settori non possa esserci parità, credo; ma questi continui trattamenti differenziati, sulla base di una mera conformazione fisica non ancora riconosciuta come patologia, non vanno bene e confermano quanto il nostro Paese sia bigotto, vecchio e formato da persone che da un lato, si arrogano il diritto di differenziarmi da Luigi, Marco e Pietro e dall’altro da taluni altri che si lasciano abbagliare dalla possibilità di usare un servizio gratuitamente solo perché hanno avuto la sciagura di essere/nascere/sentirsi femmina. Va bene, allora, ci sto. Sono donna, ho bisogno di agevolazioni. Facciamo che risparmio sull’abbonamento ai servizi pubblici, facciamo che i medicinali mi costino meno, facciamo che il mio stato di inferiorità, di incapacità di scegliere un modo intelligente di passare una giornata sia riconosciuto e conveniente per me, in primis. No, eh? Non vi conviene, balordi.

 

 

È una immagine poetica: i musei, in quella giornata, frequentati dentro da solo donne in armonia, stranamente, tra loro e fuori dall’ingresso la confusione, perché donne sì ma quando? Come si comporta l’usciere di fronte ad una evidente fase di transizione? “Sono in aspettativa di essere donna”, “sono donna al nord e uomo nella zona sub-ombelicale”, “sono donna, fidati del velo”, “sono donna e non ho avuto il tempo di strapparmi i baffi”.

Ancora siamo considerate, su di ogni fronte, e non fingiamo che non sia così, qualcosa di meno imponente, quasi da rivalorizzare, come gli scavi di una Pompei claudicante sotto gli occhi di tutti, come una carota baby dopo sonore mazzate.

Uomo de panza, uomo de sostanza (lui). Chiatta, mettere la panciera, affetta da cellulardite (lei).

Sale e pepe è fascinoso (lui). Caspita, un pelo bianco, dove è la vernice? (lei).

Il viso scolpito dall’età è sinonimo di saggezza (lui). Collagene provato, ialuronico anche, botulino pure, la stiratura con la vaporella mi manca (lei).

T(r)ombeur de femme come sinonimo di esperienza (lui). Tre storie importanti alias navigata (lei).

Quaranta anni, zero legami, e non sentirli (lui). Quaranta anni, zero legami, e non sentirli. ‘Na zitella, single per scelta, degli altri però (lei).

 

 

Qualcuno ha obiezioni? Possiamo dire il contrario? Non è possibile, donne, che noi si passi una serata (chiunque voglia, dall’alto della sua libertà di scelta) a mangiare e brindare in nome del tipo che sgambetta sul tavolo per noi. Queste so’ cose da uomini, andiamo al museo, noi.

Chissà se in quella giornata, ai musei, ci coprono pure i cimeli perché potrebbero offendere il nostro occhietto. C’è il rischio che ci mandano al museo con i facsimile dei Bronzi di Riace e ne usciamo disturbate.

E non per l’immediato confronto.

 

Aboliamo l’8 marzo, aboliamo le differenze offensive, aboliamoli. Tutti.

Siamo donne, non cuccioli da adottare e da indottrinare, da salvare.

 

“Quel pugno che ti diedi è un gesto che non mi perdono; ma il naso ora è diverso, lo ho fatto io e non dio”

 

Anna Di Nola

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