“Sono pentito e mi vergogno, chiedo scusa ai veronesi e a tutti gli italiani”. Sono le parole di pentimento di Pasquale Silvestri, 41enne originario di Castellammare di Stabia e residente a Verona, dopo la rapina al museo di Castelvecchio in provincia di Verona dove la notte dello scorso 19 novembre sono state trafugate ben 17 opere di valore inestimabile.
Quella sera tre banditi armati trafugarono 17 preziose opere d’arte.
Sette arresti sono stati compiuti in Italia e tra i fermati c’è Francesco Silvestri, la guardia giurata che era in servizio al museo la sera della rapina, considerato il basista della banda. In manette anche il fratello gemello, il 41enne stabiese Pasquale Silvestri, e sua moglie, Svetlana Pkachuck, ritenuta il ‘trait d’union’ con la banda moldava. Gli altri cinque, tutti cittadini moldavi, sono stati arrestati nel loro paese. La speranza è che tutte le opere siano ancora tutti assieme, forse in Moldavia.
Il 41enne stabiese, padre di 3 figli di cui una bimba di pochi mesi avuta dalla compagna Svitlana(che proprio per la piccola ha ottenuto dal gip i domiciliari), è recluso nel carcere di Montorio ed ha scritto una lettera aperta alla città tirandosi fuori dal’organizzazione e dall’esecuzione del colpo da milioni di euro.”Chiedo umilmente perdono a Verona, all’Italia, a tutto il mondo, provo tanta vergogna per quello che ho fatto e sono molto pentito. A settembre del 2015 – scrive il fratello gemello del basista del colpo al museo di Castelvecchio – sono stato avvicinato da alcuni individui moldavi che mi chiedevano aiuto per effettuare dei furti in Italia, mostrandomi anche alcuni quadri di Castelvecchio – sostiene Pasquale Ricciardi Silvestri (il doppio cognome è motivato dall’adozione dopo la nascita) -.
Io li avevo allontanati da quell’idea per l’assurdità del furto, e perché non potevo aiutarli in alcun modo. Loro avrebbero voluto delle chiavi per entrare di notte nel museo. Dopo aver appreso dai giornali della rapina, incuriosito li ho contattati e mi hanno confermato di essere stati loro, vantandosi di esserci riusciti senza il mio aiuto, mi hanno promesso un borsone pieno di soldi se fossi stato zitto”. Poi li avrebbe ricontattati sperando di ricavarci qualcosa anzichè avvertire le forze dell’ordine. Invece la le indagini della Procura di Verona insieme alla Squadra Mobile della Questura di Verona e allo Sco della Polizia di Stato sono immediatamente partite e nel giro di pochi mesi la banda di italo-moldavi è stata sgominata.
Ora però la ricerca va avanti per trovare quadri e opere d’arte trafugate dal museo.
“Con questa indagine è stata parzialmente riparata un’offesa fatta alla città di Verona, che però potrà essere completata solo quando saranno recuperati i dipinti trafugati”. Lo ha detto il procuratore della Repubblica di Verona, Mario Giulio Schinaia, in una conferenza stampa congiunta con gli investigatori per fare il punto sull’ operazione.
Quattromila ore di video analizzate, sette milioni di report di telefonate controllate: è l’enorme mole di lavoro compiuta dagli investigatori che hanno individuato la banda italo-moldava accusata della rapina al museo di Castelvecchio.
“E’ difficile indagare sugli invisibili, che sono sul territorio con più identità”, ha detto Antonio Coppola, comandante del Reparto operativo del Nucleo tutela patrimonio culturale dei Carabinieri che ha portato avanti l’indagine assieme agli agenti della Squadra mobile della Questura scaligera e del Servizio centrale operativo (Sco) della Polizia di Stato.
“E’ stata un’indagine molto tecnica – ha spiegato il dirigente della mobile, Roberto Di Benedetto – nella quale sono stati impiegati i migliori investigatori. Non è stato facile perché non hanno lasciato nessuna traccia, sono stati bravi a nascondere”. Riguardo alle 17 opere d’arte trafugate, tra le quali capolavori di Tintoretto, Rubens, Mantegna e Pisanello, sarebbero ancora nascoste: “riteniamo che siano in Moldavia, abbiamo più di un’idea su questa ipotesi”, ha detto il gen. Mariano Mossa, comandante del Nucleo tutela patrimonio artistico dell’Arma.