“L’abolizione del servizio di guardia medica sarebbe un nuovo, ennesimo, attentato alla salute degli italiani. Se questa ipotesi è intollerabile in generale, diventa inaccettabile per quelle Regioni che si trovano a dover affrontare anche il piano di rientro sanitario”.
“Altro che accorpamento e razionalizzazione, questo è un taglio fatto con il machete che causerà situazioni ingestibili nelle corsie e nei reparti. L’adozione di questa misura sarebbe un’inaccettabile barbarie che andrebbe nella direzione opposta rispetto alla tutela dei cittadini e al diritto costituzionale alla salute”.
Lo affermano la deputata calabrese Dalila Nesci e il consigliere presso il Consiglio regionale della Campania Valeria Ciarambino: le due portavoci del MoVimento 5 Stelle, nelle rispettive Regioni, stanno conducendo una battaglia a tutto campo per la tutela del diritto alla salute.
“La misura è colma: limitare l’approccio verso il comparto salute a pura attività di ragioneria è semplicemente barbaro. Aggiungiamo solo qualche dettaglio a questo quadro incivile: le continue irregolarità nella gestione commissariale, l’indifferenza dei ministri preposti alla vigilanza, la mancanza di risorse da impiegare in prevenzione, personale e tecnologia e il colpevole silenzio dei presidenti delle Regioni, che dovrebbero invece attivarsi in ogni modo per difendere un diritto alla salute che nelle nostre regioni massacrate da anni di piano di rientro è già negato.
“L’aspetto più aberrate – aggiungono Nesci e Ciarambino – è la menzogna dell’Esecutivo Renzi, che spaccia la chiusura del servizio di guardia medica per un moderno traguardo. In realtà il nuovo atto di indirizzo per il rinnovo della Convenzione di Medicina generale, con la soppressione della guardia medica, causerà il taglio di 8 ore di assistenza nei giorni feriali e di 12 in quelli festivi. Di notte, dunque, l’unica possibilità per i cittadini sarà quella di recarsi nei pronto soccorso. In Regioni come le nostre, dove i presidi medico-ospedalieri sono stati già decimati, questo può significare dover fare decine di chilometri prima di giungere al pronto soccorso più vicino. Senza contare che tali strutture sono già adesso sovraccariche e non riescono a gestire neppure le urgenze. Tagliare prima di aver potenziato gli altri servizi significa fare macelleria sociale”.
“Evidentemente, davvero questi personaggi credono di poter prendere per il naso gli italiani e pensare di farla franca – concludono – Ne riparleremo quando ci troveremo di fronte all’intasamento dei pronto soccorso, con conseguenze impensabili soprattutto in regioni come Calabria e Campania, nelle quali già oggi mancano medici, infermieri, operatori”.