E’ andata in onda ieri sera la prima puntata della seconda stagione di Gomorra, la fiction che ha portato sul piccolo schermo l’omonimo fortunato libro di Roberto Saviano.
In contemporanea, su altro canale, veniva trasmessa la storia di una madre, Felicia Impastato, che negli ultimi anni della sua vita ha combattuto per far arrestare gli assassini del figlio, il giornalista Peppino Impastato, ucciso dalla mafia.
Si tratta in entrambi i casi di storie di lotta, di storie di malavita, di storie di soprusi. Ma mentre nella seconda narrazione c’è la forza di una madre che prima vive il dramma della morte violenta di un figlio e poi spende le proprie energie per riscattarne la memoria e ottenere giustizia, nel primo, invece, si respira ancora tutta quell’aria di riverenza e celebrazione di una realtà malavitosa, a tratti romanzata, ma di sicuro non delineante un modello da seguire.
Nato come un testo di denuncia della costrizione dei giovani napoletani/casertani ad una realtà criminale in cui l’unica alternativa era rappresentata dal nulla assoluto, Gomorra, nella versione riscritta per il piccolo schermo, ha preso le sembianze di un ossequio alla camorra.
Un prototipo che rappresenta il “meglio” di una proposta per il futuro, laddove di proposte alternative non ve ne sono, se non quelle ben poco appetibili fatte di sudore e di lavoro. Basta “fidelizzarsi”, mostrarsi intraprendenti, capaci di maneggiare un’arma e pronti ad usarla se viene chiesto dal Savastano di turno e tutto ci sarà concesso: soldi, macchine, donne e potere. Potere di gestire vita e morte di chiunque. Questo sembra essere il messaggio. Altro che educazione- Altro che insegnamento. Un vero avviamento verso il delirio di onnipotenza.
«La baldanza dei giovani a contatto con certe “proposte formative” diventa spavalderia, si trasforma in arroganza, degenerando, poi, in prepotenza e desiderio di sopraffazione. E allora basta una pistola e non ci si fanno scrupoli a sparare, a seminare terrore, emulando quelli delle fiction perché “è così che i potenti si fanno rispettare”».
Parla in modo appassionato Giulio Catuogno (nella foto), Segretario Generale Provinciale di Napoli del sindacato indipendente di Polizia Co.I.S.P. E continua: «Quando chiediamo una proposta seria per la lotta alla criminalità parliamo proprio di questo: di investire nell’educazione, ma non attraverso il finanziamento di film e di fiction dal retrogusto di apologia neppure tanto velata, bensì in qualcosa che rappresenti una vera speranza di cambiamento».
«Uomini e donne delle forze dell’ordine- continua Catuogno – sono quotidianamente impegnati in strada con attività di prevenzione e repressione ma anche nelle scuole con progetti di educazione alla legalità. Progetti che spesso vengono tenuti in piedi solo grazie alla passione di pochi colleghi appassionati all’umano, che impegnano tempo e risorse per insinuare quel germoglio di speranza che ogni ragazzo merita. Come alternativa, come possibilità». «Non possiamo permettere – conclude Giulio Catuogno – che si continuino a propinare storie quali Gomorra come espressione di una realtà qual è quella partenopea. Napoli è fatta di altro. E’ fatta di una vita in atto, di un desiderio di riscatto che è molto ma molto più vicino alla storia di Felicia Impastato. E non consentiamo a nessuno, tantomeno alle fiction romanzate, di distruggere questi nostri tentativi di cambiamento».