“After Universe”, il nuovo lavoro del pomiglianese An Electronic Hero

after universeAfter Universe è il primo singolo estratto da Isoipstar – un neologismo che unisce due parole “hypsos”, vale a dire “altezza” in greco e “star”, ossia “stella” in inglese-, il secondo EP di An Electronic Hero (pseudonimo del giovane ingegnere pomiglianese Federico Foria).

Dal 16 luglio disponibile online il videoclip della canzone, brano che vanta collaborazioni con artisti oltreoceano di caratura internazionale. Una circumnavigazione del pianeta e dello spazio fino a casa tua.

Il video è realizzato in animazione 2D da Mita Sichetti (all’anagrafe Martina Sichetti), diplomata presso la Nemo Academy of Digital Arts.

Il Foria, già autore, due anni orsono, dell’EP “An Electronic Shere”, ha presentato nel Natale dello scorso anno l’EP in questione ed ora è pronto il magnifico video del primo singolo, “After Universe”. Qui musicalmente siamo al massimo fattore, al terzo occhio, alla faccia oscura della luna, alla genealogia fangosa, a ciò che sussurrando consonanticamente tacciamo –burattini del burattinaio- sulla terra. E’ l’empireo dell’arte, la molla che finalmente tiene. Il ritmo inizia come palpitio interiore, il battito silente dell’universo reso manifesto, il respiro del mondo, qualcosa che ci proietta come allarme ritmico, in sottofondo, sul finire degli anni ottanta, e imponente la voce divina esterna coscienziosa amplificata, assolo possente, di contorno la eco angelica, ed anche l’occhio occultato, a questo punto e come detto, diviene manifesto, e continuano nei silenzi e nell’underground celestiale le melodie composte che scompongono, ambient angelici, e il silenzio ribalta il potere in entalpico segmento “echizzante”,  longa manu del divino, gli angeli si svelano in tutta l’essenza femminea e da sirene incantatrice divengono fattura di un incanto di sé, e la voce maestosa scompare, e si accede al nirvana ritmico, si ritrova sé finalmente in questo infinito musicale silenzio angelico. La voce dell’occulto ricompare a conclusione, ma l’eco angelico ha già reso in noi manifesto il vero. L’ultima parola è chiara e possente, l’ultima verità però  il ricordo.

I riferimenti sono colti, “lo sbaglio di natura” montaliano, “l’anello che non tiene”, la traccia in ogni uomo di “qualche disturbata divinità”, “a return not an escape as pure essence”, canta infatti l’eroe elettronico in questo pezzo, conclusione del periplo sidereo in cui l’intero “Isoipstar” ci proietta. A noi con lo sguardo diretto alla luna ci rendiamo partecipi dell’illusoria etereità solo di sfuggita ma incantati in eterno alla luce selenica. E bloccati e liberi e palesi “showing is useless I see only,/ an empty pedigree/ hiding is useless/ I can see you/ as true energy”. E poi… e poi, silenti, e scendendo nel pavesiano gorgo “muti”, quando la morte arriva cogli occhi dell’amata a sussurrare maledetti, nell’etereo silenzio melodico, “showing brightness and shape/ from terrain absence”.

Il video musicale è realizzato in un’atmosfera blues, in cui il martellante ritmo ancestrale, atavico, subsahariano, sciamanico, tribale, diventa onirico, in una sorta di trip orfico-ipnotico, contornato da un’animazione colorata e a tratti criptica che fa da input per la libera interpretazione dello spettatore di ciò che appare nel video. Un’evocazione, attraverso le due figure femminili, che rappresentano le “essenze” della terra e della luna, legate tra loro dal canto univoco e solo apparentemente umanizzate per proiezione.

Una presenza trasportante della vita legata alla materia verso la pura essenza, su note stanche in una versione un po’ annoiata dell’universo scientista.

Dal minuto 1.23 si spalanca il sipario dell’oniricità, in un’ottica oltrista, metafisica, e di un surrealismo ridotto ai minimi termini, alla dimensione tribale ed ideica dell’essenza. Una classicheggiante anta ci trasporta in frammenti di materia, in una connotazione caotica ma paradossalmente ben scandita e resa uniforme da questo ritorno ad una spiritualità energetica. Madre Terra e Luna, Gea e Selene, discutono silenti ed avvolte in una realtà che ricorda i primi anni ottanta. L’uomo, folle, vittima della materia, ritrova sé nel femmineo incanto, disteso a ridosso del mare siderale. Degli infiniti abissi estatici.

 

Giovanni Di Rubba

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