San Camillo de Lellis e San Pio da Pietrelcina, un caso di bilocazione temporale?

San Camillo e San Pio bilocazione temporale (1)La storia che stiamo per raccontare è in bilico tra fede e scienza, frutto di studi e riflessioni che trovano la loro ragion d’essere nell’intuito e nell’accurata analisi di indizi. È una storia, dunque, e come tale va considerata, purtuttavia ciò che riporteremo è ampiamente documentato, le conclusioni tracciate tuttavia sono manchevoli di dimostrazione scientifica, ma aprono scenari affascinanti. E prive di dimostrazione scientifica forse rimarranno, per lasciare lo spazio alla devozione ed alla fede. Nel Medioevo l’agiografia era una cronaca mistica, e per questo la sua valenza principale era quella di indirizzare la morale, accrescere l’amore incondizionato per Dio e per la Sua Madre Santissima, riportando episodi che magari non necessitavano di riproducibilità sperimentali. Erano tali perché illuminavano i cuori degli uomini, e la Sapienza dei dotti sapeva cercare la Verità nei segni divini, sapendo che lo Spirito Santo è dispensatore di doni, ma che per raggiungere la Vera Sapienza bisogna passare per l’umiltà, il Timor di dio, la Pietà, la Scienza, la Fortezza, il Consiglio, l’Intelletto. Ripetiamo che tutto ciò che è riportato è realmente accaduto, ma la tesi nostra è la conclusione di un ragionamento, che lasceremo ai posteri, quando finalmente la Fisica e le Neuroscienze saranno in grado di adempiere alla loro vera missione, far percepire ed intuire perfettamente il profumo della misericordia di Cristo ed il mistero dell’assordante quiete mistica dell’universo.

San Camillo e San Pio bilocazione temporalee (5)Parleremo di due Santi, due Santi che tanto hanno in comune e tanto sono agli antipodi, e parleremo di quanto grande può essere la Misericordia Divina. San Camillo de Lellis, San Pio da Pietrelcina.

Nati ambedue il 25 di maggio, l’uno del 1550, l’altro del 1887, giorno altamente mistico, dedicato a Beda il Venerabile, dottore della Chiesa e “beatissimo confessore”, che guardava negli animi dei fedeli e li illuminava con la sua dotta umiltà, come il padre del Gargano farà un giorno, ed ha fatto, anzi continuerà a fare. Ma la vita di San Camillo e quella di San Pio non sono affatto identiche, e San Camillo potrebbe a buon diritto essere considerato alla stregua dei peccatori, di quelli della peggiore specie, che solo la luce celestiale, con l’intercezione del cappuccino beneventano, sapeva convertire, portarli su una via diversa, ma non cambiandoli, ma rendendoli consapevoli che i propri talenti, usati sino ad allora al servizio dell’egoismo e del male potevano essere indirizzati per glorificare Dio.  Camillo ebbe una vita non facile, di Bucchianico, nelle terre di Chieti, e di nobili natali era un bestione di quasi due metri d’altezza, altezzoso ed arrogante, arruolatosi come soldato di ventura, come mercenario, aduso a saccheggi e ruberie, aduso ad imporre il proprio volere con la forza bruta, talora irrispettoso, soprattutto nei confronti dei più deboli. Camillo, un nome che in fenicio vuol dire aiutante nei sacrifici, e mai l’etimologia tanto influì sul corso della sua vita. Inutile divagare sulle vicissitudini della sua esistenza, che invitiamo gli interessati ad approfondire nelle sedi opportune, e soffermiamoci sulla conversione e sulla conseguente vocazione, che lo renderà operatore di pace, consolatore di afflitti e malati, tanto da essere considerato protettore degli infermi e degli operatori sanitari, e la cui ricorrenza si celebra il 14 di luglio. Un vita simile a quella di Agostino d’Ippona, sbalestrata, ma con una madre che pregava ardentemente per la salvezza del ragazzo, come Santa Monica. Dopo alterne battaglie, l’ultimo dì dell’anno 1571 per quasi tre anni Camillo vagò alla ricerca di un buon arruolamento. Entrò nella Lega Veneta prima, per sbaragliare i Turchi, quindi si arruolò con la Spagna. In quegli anni rischiò di morire più di una volta, ripromettendosi sempre di cambiare vita se si fosse salvato. Ma regolarmente tradì la promessa e con analoga puntualità mise da parte quel sogno di farsi frate che riemergeva periodicamente nella sua mente, soprattutto nei momenti del pericolo. Ma come ci ricorda il noto Professore di Basilea morto nella follia forse redentrice, spesso bisogna toccare il fondo per risalire. Durante il suo peregrinare capitò a Napoli, perdendo tutti i suoi averi al gioco, liquidazione, spada e persino la camicia, costretto a vivere da mendicante sotto l’ombra del nostro amatissimo Vesuvio. Venne a sapere che nei terreni di Manfredonia si stesse raccogliendo della manodopera per l’edificazione di un convento di frati cappuccini. Grazie a padre Francesco, che il primo giorno di febbraio dell’anno 1575 lo invitò a risalire la mulattiera che si inerpica sul monte Gargano per recarsi al convento di S. Giovanni Rotondo, lo stesso che avrebbe ospitato, sino alla morte, Padre Pio, per scambiare tagliolini freschi con del buon vino. Nel primo pomeriggio Camillo giunse al convento e incontrò un misteriosissimo padre guardiano, tale Angelo. Questi lesse nel cuore del giovane trovandovi una nota tragica di inquietudine e tristezza nonché di incompiuta e vanagloriosa grandezza, che rendeva il suo volto angoscioso e tormentato. Il padre invitò Camillo a sedersi con lui per discorrere un pochino sotto il pergolato e bruscamente si rivolse al gigante: “Dio è al primo posto, Dio è tutto il resto è nulla, sputa in faccia al demonio”. Sputa in faccia al demoni, combatti tra le schiere di Cristo. Un fraticello mingherlino e malaticcio affrontò un imbattibile mercenario con le energiche parole dello spirito. Tutta la notte fu ospite nella cella n° 5 e pensò, come nell’angoscia del Conte del Sagrado alle parole del Cardinale Borromeo, alle parole del fraticello, assalito da mille rimpianti e mille rimorsi, quella luce fioca che già dai tempi in cui combatteva contro gli infedeli turchi lo stava smuovendo, sobillava in lui, ma che mai aveva avuto il coraggio di imporsi. Il mattino seguente, percorrendo un tratto di strada impervia e rocciosa detta Valle dell’Inferno  cadde in ginocchio, si batte il petto con dolenti pietre e si sentì come Saulo, come Agostino. Il resto della sua vita è storia, comunicò il suo intento di prendere i voti, e finì per fondare l’Ordine dei Camilliani, da sempre impegnato nell’assistenza degli infermi. E trascorse i suoi giorni a Roma, sotto la guida di Filippo Neri, che già in vita era in odore di Santità, e che testimoniò con la sua santità l’amore per i più piccoli, indifesi, deboli, proteggendoli sotto l’ egida del cuore mariano.

E qui si incrocia la storia Di San Camillo con quella di Padre Pio. Egli abitò sempre nella cella n°5, quella in cui ebbe la “tremenda notte et conversione” il de Lellis, ed anche quando dovette spostarsi per motivi logistici, la preferì sempre come suo studio personale.  Interessante la testimonianza del Camilliano Padre Pietro Santoro che racconta di un incontro con il Santo di Pietrelcina avvenuto nel 1958, poco dopo la sua ordinazione. Appena lo vide Padre Pio esclamò:” Da dove viene questo camilliano?” “Dalla Sicilia” e rispose il Santo “Questo Siciliano, lo sa Padre che io sto alla cella n. 5 occupata un tempo da San Camillo?  Ma non sa una cosa!… che S. Camillo la abitò una sola notte e si fece santo… ed io che vi abito da trenta anni sono ancora un povero diavolo”. Ciò detto rise fragorosamente concludendo “Preghi per me”. Qualche anno dopo il Padre siciliano donò a San Pio una statua di S. Camillo con l’ammalato per la sua “Casa Sollievo della Sofferenza”, che ancora oggi è tra gli ammalati.

Una storia quanto mai interessante, la storia di due Santi, la Storia di due vite al servizio degli ammalati e per la redenzione dei peccatori. Certo logica vuole che San Pio si sia ispirato a San Camillo per la costruzione del celebre ospedale sangiovannese, magari ammirando San Camillo de Lellis stesso. Ma sappiamo anche che il mondo dei Santi è insondabile, avvolto nel mistero. Di quel certo Padre Angelo nulla si sa, non ci sono altre testimonianze, sappiamo solo che lesse nel cuore di quel povero soldato arrogante e prostrato e con parole durissime “Sputa in faccia al demonio”, lo rese combattente di Cristo. Un ammonimento ed un modus operandi che ricorda tanto il modo di fare del Santo di Pietrelcina, che visse nella sua stessa cella per tutta la vita lottando contro insidie demoniache. E qui azzardo l’ipotesi. Tutti sappiamo dei tanti episodi di bilocazione che hanno visto protagonista Padre Pio. Tanto per citarne alcuni;  la signora Maria, figlia spirituale di Padre Pio, su questo argomento raccontava che suo fratello, una sera, mentre pregava, venne colto da un colpo di sonno, improvvisamente ricevette uno schiaffo sulla guancia destra ed ebbe l’impressione di sentire che la mano che lo colpiva fosse coperta da un mezzo guanto. Pensò subito a Padre Pio e il giorno dopo gli chiese se era stato lui a colpirlo: “Così si manda via il sonno quando si prega?”, rispose Padre Pio. Era stato Padre Pio che in bilocazione aveva “risvegliato” l’attenzione dell’orante. Un ex ufficiale dell’esercito, un giorno entrò in sacrestia e guardando Padre Pio disse “Si è proprio lui, non mi sbaglio”. Si avvicinò, cadde in ginocchio e piangendo ripeteva – Padre grazie di avermi salvato dalla morte. In seguito l’uomo raccontò ai presenti: “ero un Capitano di fanteria e un giorno, sul campo di battaglia, in un’ora terribile di fuoco, poco distante da me vidi un frate, pallido e dagli occhi espressivi, disse: “Signor Capitano, si allontani da quel posto” – andai verso di lui e, prima ancora di arrivare, sul posto dove mi trovavo prima, scoppiò una granata che aprì una voragine. Mi girai verso il fraticello, ma non c’era più”. Padre Pio in bilocazione gli aveva salvato la vita. Padre Alberto, che conobbe Padre Pio nel 1917, raccontava: “Vidi parlare Padre Pio fermo presso la  finestra con lo sguardo sulla montagna. Mi avvicinai per baciarli la mano ma lui non si accorse della mia presenza ed ebbi la sensazione che la sua mano fosse irrigidita. In quel momento lo sentii scandire con voce molto chiara la formula dell’assoluzione. Dopo un attimo il padre si scosse come da un assopimento. Rivolto verso di me, mi disse: – Siete qui?, non me ne ero accorto. Qualche giorno dopo arrivò da Torino un telegramma di ringraziamento al Padre Superiore per aver mandato Padre Pio ad assistere un moribondo.  Ovviamente il Superiore non aveva inviato Padre Pio presso il moribondo ma Padre Pio vi si era recato in bilocazione. Una famiglia americana venne da Filadelfia a San Giovanni Rotondo, nel 1946, per ringraziare Pare Pio. Il figlio pilota di un aereo da bombardamento (nella II Guerra Mondiale) era stato salvato da Padre Pio nel cielo nell’Oceano Pacifico. L’aereo in prossimità dell’isola sede della base alla quale rientrava, dopo avere effettuato un bombardamento, venne colpito dai caccia giapponesi. “L’aereo” – raccontava il figlio, “precipitò ed esplose prima che l’equipaggio potesse gettarsi col paracadute. Soltanto io, non so in quale maniera, riuscii ad uscire in tempo dall’aereo. Cercai di aprire il paracadute ma non si aprì; mi sarei  pertanto sfracellato al suolo se improvvisamente non fosse comparso un frate con la barba che prendendomi fra le braccia mi depose dolcemente davanti all’ingresso del comando della base.  Immaginate lo stupore che provocò il mio racconto. Era incredibile ma la mia presenza “obbligò” tutti a credermi. Riconobbi il frate che mi aveva salvato la vita allorché, qualche giorno dopo, inviato in licenza, giunto a casa mi vidi mostrare da mia madre la fotografia di Padre Pio, il frate alla cui protezione mi aveva affidato”. Una signora, moglie di un armatore ligure, era ospite della figlia a Bologna. Sofferente per un tumore maligno ad un braccio, la signora d’accordo con la figlia aveva deciso di farsi operare. Il chirurgo, interpellato,  aveva risposto di avere pazienza e di attendere qualche giorno, quindi sarebbe stata fissata la data per l’intervento chirurgico. Nell’attesa il marito della figlia inviò un telegramma a Padre Pio chiedendo preghiere per la suocera. All’ora in cui il telegramma giunse nelle mani di Padre Pio, la signora, che era sola nel soggiorno della casa della figlia, vide aprire la porta ed entrare un frate cappuccino. “Sono Padre Pio da Pietrelcina” le disse. Dopo averle domandato cosa le aveva detto il chirurgo, e averla esortata ad avere fiducia nella Madonna, il Padre le fece un segno di croce nel braccio, quindi, salutandola, uscì. La signora chiamò la cameriera, la figlia e il genero. Domandò perché avevano fatto entrare Padre Pio senza annunciarlo, ma si sentì rispondere che loro non lo avevano veduto e che, comunque, non avevano aperto la porta a nessuno. Il giorno successivo il chirurgo visitò la signora per prepararla all’operazione, ma non trovò traccia del tumore. Il vescovo che il 10 agosto 1910, nella cattedrale di Benevento aveva ordinato sacerdote Padre Pio, venne preparato alla morte da Padre Pio che, in bilocazione, era andato a fargli visita. Perfino il beato don Orione ebbe a dichiarare quanto segue in merito alla bilocazione di Padre Pio: “Nella basilica di San Pietro, alla beatificazione di Santa Teresa del Bambin Gesù, c’era anche Padre Pio, in bilocazione. Lo vidi venire verso di me, sorridendo. Gli andai incontro, attraverso la folla, ma quando gli giunsi a due passi di distanza, scomparve”. Persino il Generale Cadorna, dopo la sconfitta di Caporetto cadde in un tale stato di depressione da decidere di volerla fare finita. Una sera si ritirò nel suo appartamento e diede ordine al suo attendente di non far passare nessuno. Entrato nella sua camera, estrasse da un cassetto una pistola e mentre se la stava puntando alla tempia udì una voce che gli diceva: “Suvvia, Generale, non vorrete mica compiere questa sciocchezza?” Quella voce e la presenza di un Frate distolsero il Generale dal suo proposito, lasciandolo di sasso. Ma, come era potuto entrare questo personaggio in camera sua? Chiese spiegazioni all’attendente ma quelli rispose di non aver visto passare nessuno. Anni dopo, il generale, venne a sapere dalla stampa, di un Frate che viveva sul Gargano e operava miracoli. Si reca a San Giovanni Rotondo in incognito e quale è lo stupore quando riconosce in quel frate il cappuccino di quella sera. “L’abbiamo scampata bella quella sera, eh generale?… gli sussurrò Padre Pio.

E se ci fosse stata una bilocazione non spaziale ma temporale grazia alla quale i due Santi vennero in contatto? Ipotesi affascinantissima, e tanto più stuzzicante se consideriamo che, secondo l’insegnamento paolino il carisma della Profezia è un carisma che appartiene a certi Cristiani, ed è il secondo per importanza, dopo quello dell’Apostolato. E la Profezia è proprio questo, sondare e diffondere scintille del volere di dio, illuminati da esso, e guardare al di là del tempo e dello spazio. La Profezia e la Bilocazione hanno più punti di contatto di quanti noi possiamo immaginare. Ed occorre ricordare che i diversi Santi che ci riportano episodi di Bilocazione, risultano sempre accompagnati da angeli, ovverossia da messaggeri di Dio, e ciò che si vede in profezia o ciò che si sente e fa in bilocazione è opera dello Spirito Santo e la mano di Dio che rende possibile tali prodigi e che intercede con suddetti uomini Santi avviene grazie alla intercezione dei candidi emissari celesti. Profezia, Bilocazione, spazio e tempo, dunque, movimenti possibili per grazia di Dio. Ricordando tra l’altro che il tempo è di questa terra e sotto la scure del demonio che non solo allontana e mette in lotta tra di loro gli esseri umani, dividendoli, ma dà al mondo una apparente caducità, ponendoci nell’apparenza ad occhi inesperti, dell’inesistenza dell’eterno, del fatto che tutto nasca e muoia, che le bellezze naturali, gli esseri umani, i fiori, le rose, le viole, i monti, i corsi d’acqua, persino le stelle, il sole e la luna un giorno cesseranno d’essere, per sempre. Ci viene posta una illusione al di qui del velo di Maya, che l’uomo e la natura perisca. Che esista il tempo, che esista la distanza. Illusioni diaboliche che corrodono la nostra eternità e l’eternità del tutto e di tutto ciò che viene da Dio. Il tempo e lo spazio nell’infinito abbraccio di Dio non possono e non sanno esistere, dal ‘600 ad i giorni nostri l’epoca del materialismo ci ha sempre più condotti tra le temperie di codesta illusione. Non credere nel divino significa credere nella materia, ma la materia senza spirito non saprebbe respirare.

Andiamo nel dettaglio, cercando di balbettare, perché a ciò possiamo, ad oggi limitarci, qualche interessante scoperta scientifica sullo spazio tempo, soffermandoci su alcuni progressi delle neuroscienze, in vista del fatto che i fenomeni bilocativi sia spaziali che temporali riguardano lo spirito e non il corpo, l’energia e non la massa. Forse anche ambedue, sdoppiando la massa, ma non entreremo nel mondo della fisica, nella teoria delle stringhe, in quella della curvatura spazio temporale, nella fisica quantistica, negli studi sul supermondo,  in quelli sul bosone di Higgs, nella esistenza di pluralità di mondi e dimensioni e nemmeno di wormhole-ponti Einstein Rosen-. Tutto questo è prerogativa degli scienziati, che un giorno intuiranno, capiranno e spiegheranno, magari aprendo frontiere inaspettate. Non lo faremo perché il contatto tra mente e fisica, tra  psyché e tà physiká sarà, lo auguriamo, una frontiera da solcare per l’uomo di questi nuovi secoli, ove sembra che lo spirito, l’anima stiano per tornare ad occupare il posto che da sempre li spetta, seppure gradualmente. E seppure gradualmente l’uomo di scienza capirà, un giorno, che il suo compito e percepire l’odore di Dio, e che solo con tale atteggiamento e tale apertura mentale, lo abbiamo accennato nell’incipit, potrà scoprire qualcosa. Potrà scoprire connessioni cui per ora tende barcollante e quasi cieco, come chi pulisce a poco a poco i suoi occhi dal fango riuscendo ad intravedere, mano a mano, qualcosa. Elettrochimica ed elettromagnetismo, qui la chiave di volta, qui il dire tutto ma anche nulla, sperando un giorno si comprenda qualcosa, qualcosa che possa avvicinarci a Dio, per contemplarne la perfezione ed aprire nuovi orizzonti, orizzonti che dovranno accomunare l’umanità sotto il fraterno abbraccio candido e sublime e non dividerli.

Torniamo a noi,  la bilocazione o multilocazione è la supposta capacità, dunque, di un corpo di essere contemporaneamente presente in due o più luoghi diversi. Concetto diverso quello di ubiquità che indica la sua presenza in ogni luogo. Essendo più precisi non può parlarsi di corpo ma di spirito, o se vogliamo energia. Non dunque materia. Nella tradizione agiografica cristiana la bilocazione è un evento miracoloso attribuito ad alcuni santi: Santa Caterina de’ Ricci, San Pietro d’Alcantara, Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, San Clemente papa, Sant’Antonio da Padova, San Francesco d’Assisi, San Pio da Pietrelcina, Santa Ludovina, San Francesco Saverio, San Giuseppe da Copertino, san Martino de Porres, venerabile Maria d’Agreda e San Filippo Neri. Ma anche la tradizione vedica e buddista trasmetterebbero le basi di conoscenza, a livello filosofico, scientifico e spirituale per consentire a soggetti con particolari inclinazioni di effettuare un lungo tirocinio idoneo composto di pratiche ascetiche, tecniche yoga, preghiere, meditazione. Grazie alla pratica della meditazione trascendentale, associata ad opportuni esercizi di respirazione e di controllo degli organi e delle funzioni vitali, gli yogi sarebbero in grado di preparare il terreno ad eventuali fenomeni di bilocazione. Yogananda narrò sia apparizioni di defunti sia bilocazioni, in modo dettagliato; il suo stesso guru, si sarebbe materializzato, avrebbe comunicato e toccato il suo allievo prima di smaterializzarsi in una luce splendente. Sdoppiamento di materia e smaterializzazione o semplicemente flusso energetico, corpo o spirito o ambedue?

Per cercare di capirci qualcosa è utile parlare di una branca delle scienze recentissima, la Neuroteologia. Si tratta della scienza che studia l’attività neurologica del cervello nelle esperienze religiose; l’ipotesi di base è che le esperienze religiose siano il risultato di impulsi neuronali e paradigmi cerebrali . A partire dagli anni seconda metà del secolo scorso sono iniziati studi dei tracciati delle onde cerebrali di persone che sperimentavano fenomeni di trance , illuminazione, e in genere stati alterati di coscienza. Più recentemente si riesce a produrre mappe di attività cerebrale durante queste esperienze. il radiologo americano Andrew Newberg, dell’Università della Pennsylvania attraverso  la tomografia computerizzata a emissione di fotoni singoli (SPECT) ha scoperto che durante l’esperienza di trance estatica risulta più attivo del normale il lobo frontale dei cervello, la regione cerebrale che regola, tra l’altro, la concentrazione e la pianificazione dell’agire. Nel lobo parietale destro, invece, che presiede alla capacità di orientamento spazio-temporale, l’attività delle cellule nervose è risultata fortemente diminuita. Il lobo parietale è, secondo Newberg, anche la regione cerebrale nella quale l’uomo concepisce l’idea di sé. Si è potuta chiaramente rappresentare l’esperienza riferita dai partecipanti allo studio: essere svegli e concentrati e sentire ugualmente il corpo espandersi e diventare tutt’uno con il cosmo. Quando, durante la trance, si riduce l’attività dei lobi parietali, commenta Newberg, si perde la capacità di percezione del proprio corpo. La persona che medita si percepisce sostanzialmente come puro spirito incorporeo. Inoltre la meditazione accentua l’attività del sistema limbico, la regione dei cervello che associa sensazioni e pensieri. Questa correlazione chiarisce le emozioni forti provate durante le esperienze estatiche e, secondo Newberg, rappresenta anche lo stimolo per indagare simili condizioni. (Per inciso Il sistema limbico è una struttura di connessione tra i lobi cerebrali, consente il trasferimento della memoria, il controllo delle emozioni e delle esigenze vitali –fame, sete-, nell’ippocampo sono elaborate le informazioni relative alla memoria verbale -le parole che usiamo- e visiva -le immagini degli oggetti, delle persone, del mondo esterno-, il lobo temporale gestisce l’apprendimento di nuove informazioni e la memoria a breve termine. Il lobo parietale è la parte di cervello che organizza le nostre attività e che elabora le informazioni spaziali, fornendoci, inoltre, l’esatta sequenza delle azioni da fare quando, ad esempio, ci laviamo, ci vestiamo, prepariamo del cibo. Il lobo frontale è la parte del cervello deputata al controllo e alle azioni, infatti, inizia e controlla i movimenti, disciplina le capacità di giudizio e il comportamento. Il lobo occipitale, infine, è adibito alle funzioni visive). Michael Persinger, della Laurentian University di Sudbury, in Canada, ritiene che anche alterazioni a livello dei lobi temporali possano originare esperienze estatiche. Nei suoi esperimenti egli applica dall’esterno forti magneti in corrispondenza delle opportune regioni cerebrali, ed è così in grado di indurre nei soggetti esperienze mistiche: alcuni hanno la sensazione di essere sospesi, altri sperimentano un flusso di immagini e di visioni, altri ancora non sentono le voci reali o avvertono la presenza di una forza invisibile. Nei suoi esperimenti egli utilizzava il “God Helmet”, il “Casco di Dio”, che stimolando opportunamente aree celebrali provocava episodi mistici.

Tali studi sono estremamente interessanti per quanto riguarda fenomeni bilocativi spazio temporali in quanto le stimolazioni riguardano il lobo temporale e l’ippocampo, aree deputate proprio alla memoria, quindi al tempo ed alla percezione spaziale. A tal riguardo, gli studi di Persinger, si basano su quelle del neurologo Norman Geschwind del Boston Veterans Administration Hospital, che, negli anni ’70, per primo  descriveva clinicamente una forma di epilessia  in cui gli attacchi producevano scariche tra i lobi temporali. Epilettici di questo tipo spesso parlavano di intense esperienze mistiche tanto che Geschwind ed altri neurologi come David Bear della Vanderbilt University ipotizzarono che scariche anormali e localizzate nel lobo temporale possono provocare ossessioni di tipo religioso o morale. La parola ” Dio” suscitava nei pazienti una risposta emotiva abnorme e conclude che questo prova che questo tipo di pazienti può veramente avere una propensione alla religione maggiore di quella di persone sane. Secondo Ramachandran la chiave sarebbe il sistema limbico che comprende le parti più interne del cervello che regolano le emozioni e la memoria emozionale come l’ amigdala e l’ ipotalamo. Potenziando le connessioni tra il lobo temporale e questi centri emozionali l’attività elettrica epilettica attiva i sentimenti religiosi.

Ipotesi interessanti anche quelle che collegano fenomeni epilettici localizzati nei lobi temporali con un fenomeno cui tutti, grossomodo, siamo stati coinvolti. I cosiddetti déja vu, ossia brevi stati amnesici in cui ci sembra di aver già visto, vissuto o sentito ciò che stiamo vivendo, provocando spesso ansia, stordimento e confusione mentale in chi le subisce. La sensazione di déja vu è anche uno dei sintomi delle persone che soffrono di una forma di epilessia, l’epilessia temporale. E secondo alcuni ricercatori, questo curioso fenomeno potrebbe essere proprio una anomalia neurologica scatenata da un lievissimo attacco epilettico in persone perfettamente sane. Da aggiungere che nell’ippocampo, la corteccia entorinale è una struttura cerebrale di cui è ben nota l’importanza per la ricostruzione mentale dello spazio circostante e in cui si trovano le cellule griglia, neuroni organizzati in strutture spaziali esagonali che fungono da sistema di riferimento e permettono di non perdere l’orientamento. Proprio la scoperta di queste cellule – dette anche “cellule GPS” per la loro funzione – è valsa a Edvard I. Moser e a May-Britt Moser,  due degli autori di questa nuova ricerca, il premio Nobel per la medicina e la fisiologia del 2014.

Insomma, che nei lobi temporali ci sia la risposta agli spostamenti spazio-temporali ed ai fenomeni bilocativi? Lasceremo che gli studi facciano il loro corso. Restando comunque ferma la tesi che è l’amore nei confronti di Dio e del prossimo che più di tutto può smuovere il nostro cervello, materia, corpo, ed indirizzare le potenzialità energetiche, donateci dallo Spirito Santo, da Dio, per il bene del genere umano e dell’intero universo.

E concludiamo ricordando che il mercenario convertito, Camillo de Lellis, si affiderà al preziosissimo sangue di Cristo, morendo a Luglio, e nella sua ultima parte del testamento scriverà: “Infine lascio a Gesù Cristo crocifisso tutto me stesso, e confido che per sua pura bontà e misericordia mi accoglierà, benché io sia indegno di essere ricevuto da così grande Maestà Divina, come già una volta qual buon padre, accolse il suo figlio prodigo; mi perdonerà come perdonò alla Maddalena, e mi sarà benevolo come fu con il buon ladrone all’estremo della sua vita, mentre era in croce. Così in questo mio ultimo passo egli riceverà l’anima mia, affinché riposi eternamente col Padre e lo Spirito Santo. I miei protettori sono: la Beata Vergine, san Michele Arcangelo, il mio santo Angelo Custode, san Carlo, santa Maria Maddalena e tutti gli altri santi, in particolare tutti i fondatori degli ordini e delle congregazioni.” E’ questo il senso più profondo di questo breve articolo, due esempi di Santità, padre Pio e San Camillo de Lellis, due vite spese per il bene del prossimo, ed al di là di bilocazione, lobo temporale, viaggi nello spazio tempo e via discorrendo è nell’Amore, nella Dolcezza e nella Grazia che l’uomo può finalmente, redento, trovare sé stesso.

Giovanni Di Rubba

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