Il branco in pubertà vive a Pimonte

veduta-da-pimonteInutile girarsi dall’altra parte, pensare “è lontano da me, non mi tocca”, additare immediatamente i responsabili e la loro educazione.

L’atrocità accaduta a Pimonte ci mette faccia a faccia con la realtà, la nostra pelle è attraversata da brividi di orrore perché quelli là potrebbero essere nostri figli, parenti, nipoti. Più che probabilmente molti di noi sanno che viso hanno e che discorsi fanno.

Al minorenne la società perdona più o meno tutto: “è l’età, devono trovare la loro dimensione, è la fase dello sviluppo”. Questa no. Questa è imperdonabile. Non è la marachella, non è la scuola marinata, il tiro di canna, la cattiva risposta all’insegnante o al genitore. Questa è cattiva, è macabra, è soffocante.

Mettiamola lì, velocemente: undici minorenni (tra cui un quattordicenne) violentano a turno un’altra minorenne. La riprendono coi loro telefonini e la minacciano. O si lascerà violentare o quei filmati finiranno nella macchina meschina di Internet.

 

 

Solo qualche giorno fa scrivevo degli effetti patologici che può avere un’app alla PokemonGo, di quanto estranei i soggetti e di quanto metta a rischio la loro incolumità fisica. Cosa avete pensato vedendo un qualunque soggetto (ma per la maggiore sono giovanissimi) girare come un rimbambito attorno al lampione perché è lì che il giochino indica esserci il mostriciattolo? Ne ho pensato di ogni, io. Partendo dalla tecnologia, passando per internet e arrivando al telefono. Poi tornando indietro.

Adesso mi viene da benedire quasi la rinco-app, meglio rincogliappizzarsi cercando mostri solo all’utente visibili che non lasciare passare queste notizie. Meglio mettere a repentaglio la propria giovinezza che non costringere alla disperazione altre vite parallele.

Tra qualche ora appariranno on line i commenti dei sociologhi, degli psicologhi e dei psichiatri della mutua, quelli che inizieranno ad additare Pasquale, Giovannino e l’insegnante. Le colpe passeranno dai genitori che “ma dove sono?” al più intraprendente del branco per spostarsi, i fessi ci sono, fidiamoci, alla ragazza che “si vestiva provocante” (e sono stata buona).

Abbonderemo di “Io lo conoscevo!”. Pimonte dista 5 minuti da Gragnano, i ragazzi, in età scolastica, frequentano gli istituti della zona. In bus, in strada, chiunque riconoscerebbe nei visi del branco un volto familiare.

 

 

Perché si arriva a questo? In gruppo si fanno cose che da soli non si avrebbe il fegato di fare? Bisogno, in età problematica, di dimostrare a quel piccolo mondo composto da altri problematici ometti, quanto si sia duri? E perché dover mostrare che si è duri e forti e violenti e che si sa fare sesso? E perché, ancora, la vittima è una lei?

Mi viene il mente la pila di imprecazioni silenziose fatte a chi ha immesso, da ultimo, PokemonGo, a chi ha esasperato i problemi di un’età  già difficile di suo col bullismo e il cyberbullismo, a chi ha la mania della condivisione. Viviamo in una società malata, fatta di persone malate e di luoghi malati. I nostri miti sono malati, le nostre aspirazioni pure.

In questo mondo che scrive jesuisParis e non jesuisgay, in cui si prega per le morti francesi e non per quelle siriane, in cui la parola illegale è associata sempre più al deretano di Belen, in cui si scende in strada per strappare la maglia di Higuain su fondo azzurro e non per rimostrare che io, donna, sono costantemente calpestata in ogni mio diritto, di cosa possiamo più meravigliarci?

Anna Di Nola

 

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