Virgilio Mago, il Merlino partenopeo

Virgilio Mago NapoliC’è una interessantissima leggenda che lega la figura di Publio Virgilio Marone, il poeta mantovano autore delle “Bucoliche”, delle “Georgiche” e dell’ “Eneide”- nonché accompagnatore di Dante nei due Regni e sino al Paradiso Terrestre, emblema dalla Ragione umana- a Napoli, luogo ove Egli fu sepolto. Nato ad Andes nel 70 a.C. sotto il segno della Bilancia, studia a Cremona, presso la scuola di grammatica, conseguendo all’età di quindici anni la toga virile. Si trasferisce poi a Milano, ove studia retorica ed infine a Roma, dedicandosi allo studio del greco, del latino, della matematica e della medicina. Nella Città Eterna è allievo del Maestro Epidio, studia eloquenza avviandosi alla professione forense ma, dato il carattere schivo del poeta, nonché alcuni difetti di pronuncia, decide di abbandonare la carriera e gli studi di oratoria, continuando ad approfondire però quelli di matematica, medicina e filosofia. A causa della morte di Giulio Cesare e delle guerre intestine tra Antonio ed Ottaviano, perde diversi appezzamenti terrieri nel mantovano, distribuiti ai veterani del vincente Ottaviano. Fa ritorno a Roma e poi si trasferisce con i familiari a Napoli, nonostante Augusto e Mecenate gli avessero offerto ospitalità. Egli preferisce la vita tranquilla. Nel capoluogo campano ha occasione di apprendere le filosofie epicuree di Filodemo e Sirone, nonché quelle pitagoriche, entrando in contatto anche con gli insegnamenti egizi-osiridei. Incontra Orazio, legge il “De Rerum Natura” attribuito a Lucrezio, ma se ne distanzia su diversi punti, credendo nella immortalità dell’anima.

 

 

Sotto l’aura di Mecenate pubblica le “Bucoliche”, scritte nelle province campestri napoletane e miscelando insegnamenti epicurei con contenuto sociale, esponendo il dramma subito per la perdita dei suoi possedimenti mantovani. Sempre nelle province napoletane compone le “Georgiche”, lavoro dei campi, arbicoltura, apicultura ed allevamento vengono esaltati. Avendo occasione di ospitare Augusto nella sua Villa, l’imperatore resta colpito dal componimento e entra nelle sue grazie, divenendo il Poeta più noto ed apprezzato dell’Impero. La sua ultima opera, e la a noi più nota, l’”Eneide”, ha lo scopo di raccontare il mito della fondazione di Roma, facendola discendere dal troiano figlio di Anchise ed esaltando nel pio Enea valori marcatamente Romani, quali la Pietas, soprattutto verso le altre culture, nel caso di specie ed allegoricamente i Greci; valori che saranno  tra i fondamenti anche della religione che di lì a poco sarebbe nata e nel corso dei secoli si sarebbe imposta, quella dei seguaci di Gesù detto il Cristo. Muore per un colpo di sole a Brindisi, in procinto di partire per l’Oriente allo scopo di perfezionare la  sua opera visitando i luoghi ove sorgeva Troia. Sarà seppellito a Napoli. Nota la sua iscrizione sulla tomba: “Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc Parthenope, cecini pascua, rura, duces”.

 

Ed a Napoli, quasi sin da subito, ma soprattutto nel Medioevo, la figura di Virgilio assunse caratteristiche mitologiche, fu eretto a Mago, vari sono i prodigi che gli si attribuiscono. La sua natura a metà strada tra quella di un Santo e quella di un chiaroveggente lo colloca a buon diritto ad essere un “Nostro” Merlino, quello del ciclo Bretone che miscela Myrddin -il Selvaggio- pazzo bardo celtico con  Myrddin Emrys  Caledonensis –il Saggio-, bardo anch’egli ma buon consigliere, anche se spesso cinico e calcolatore, che si adopra per il bene del proprio regno, visir del leggendario Re Artù, discendente di Romolo Augustolo e per questo continuatore dell’Impero Romano. Sia Virgilio sia Merlino, dunque, dei poeti, ed ambedue con un temperamento bipolare, che oscilla tra bontà e forte emotività ed istintualità. Merlino era figlio di un demone e di una mortale, e fu “salvato” in quanto battezzato, ma tuttavia le due nature in lui rimanevano, seppure i suoi fini erano sempre rivolti ad un ideale di bene e di servizio. Citando il Canto della Malinconia nietzschiano non il pretendente della verità, solo un giullare, solo un pazzo e solo un poeta, ma di quelli che illuminano. Il Virgilio Mago, talora iracondo, era però sempre dedito al bene della sua comunità, le terre napoletane, che adorava e che proteggeva. La sua poesia esprime, d’altronde, realtà e simbolo, capace di farci sondare l’animo umano, noi stessi, di entrarci nel profondo. Napoli iniziò ad avere ammirazione per quel Poeta lì sepolto, emblema di sapienza e saggezza ma allo stesso tempo mago sottilissimo, che tanto aveva amato le nostre terre e tanto le rappresentava, quasi come graziosa sintesi di una partenopea sapienza ancestrale. Nel Medioevo nacque un vero e proprio culto, e non solo a Napoli, Virgilio era il primo, e forse l’unico, profeta laico del cristianesimo, la “Commedia Divina” dantesca ce lo ricorda brillantemente.

 

 

È vero che tanti filosofi Greci furono “usati” dai Cristiani e tenuti in massima considerazione, Aristotele, Platone, Plotino, Socrate, ma il profeta pagano, che predice l’avvento di Cristo e che delinea una condotta di vita tanto cara ai seguaci del Messia è solo lui, un Magio non Persiano ma Italianissimo, mantovano, romano e soprattutto napoletano. Al culto di Virgilio contribuirono in modo decisivo  Ambrosio Teodosio Macrobio e Marziano Felice Capella, vissuti tra il IV ed il V secolo del Signore, che elevarono, il primo in particolare, ad emblema di massimo giurista dalla cultura universale che spaziava dalla oratoria alla filosofia ed al diritto, superiore quasi allo stesso Cicerone. Pressoché  coevo, Fabio Fulgenzio Planeiade, ne mostrò invece un volto nuovo, quello di “Virgilio Orfico” portatore di una dottrina segreta, gnostica, complice la rinascita del pensiero neoplatonico, soprattutto a Napoli, e la visione non è tanto lontana dalla realtà. Nei suoi versi si cela senz’altro una ancestrale visione occulta, che Virgilio apprese, come detto brevemente prima, proprio nel suo lungo soggiorno a Napoli, studiando epicurei pitagorici, leggendo Lucrezio, entrando in contatto con i culti osiridei ed egizi, incontrando di persona da allievo, Filodemo e Sirone. Napoli era divenuta anche nel VI secolo la patria di tali culti e del neoplatonismo, bandito in Oriente da Giustiniano che chiuse definitivamente la scuola di Atene. I versi virgiliani erano dunque intrisi di un simbolismo ermetico, che apriva le porte ad una visione alchemica della realtà, in piena sintonia con l’allegorismo medioevale. Enea che discendeva nell’Averno, che  raggiungeva gli Inferi, era ad esempio emblema del periplo dell’anima umana tra i marosi delle passioni, o ancora simbolo dell’iniziazione.

 

 

Passando al Cristianesimo la IV ecloga delle Bucoliche parla di un “Puer” in cui i medioevali videro la profezia della venuta del Cristo fatta ben quarant’anni prima della sua nascita, complice anche l’accenno al parto di una Vergine, al mito del Bimbo Nascente ed alla conseguente morte del Serpente. D’altra parte il “Pius Aeneas”,mostra una forma mentis e una modalità d’azione più vicine a quelle sacerdotali che a quella del guerriero eroico. Ciò rappresentava a tutti gli effetti il passaggio da un uomo vecchio, ante cristiano –l’uomo istinto che vede nella guerra l’arte nobile- all’uomo nuovo, al cristiano –paziente, umile e giusto- .

 

Con tutta probabilità la leggenda di Virgilio mago coerente e ben sistematizzata si configurò a Napoli nel periodo normanno ed angioino,  proprio quando il discorso sull’esoterismo a Napoli diventò molto interessante dal momento che fiorì una grande scuola ermetica che si occupava di alchimia. Ricordiamo ancora che nell’antica Neapolis viveva una colonia alessandrina ancora oggi testimoniata dalla statua del Nilo e c’era il culto di Iside, la dea degli iniziati, cui Virgilio entrò sicuramente in contatto. Non sarebbe azzardato supporre che la figura di Merlino non sia stata solo ispirata ai due personaggi cui abbiamo accennato prima, né tantomeno ai soli Druidi celti, ma il Nuovo Merlino, mago buono ma ambivalente, navigatore del tempo, bardo profetico e chiaroveggente, che si prodigava per il bene del proprio regno, abbia tratto ispirazione dallo stesso  Virgilio mago napoletano. La fama di Virgilio, infatti, si sparse in tutto il mondo. Si raccontava che con la sua poesia avesse  fatto tornare da una ragazza pazza d’amore l’amante infedele, Charles Godfrey Leland narra di due nobili pargoli affamati nutriti di selvaggina da una statua di Artemide animata da Virgilio nel loro magnifico giardino di Firenze, in cambio di fiori ad essa ceduti da una delle due bambine.

 

 

A partire dal  XII secolo, il Poeta destò interesse da parte della nuova classe di intellettuali-chierici. Bernardo di Chartres commentava i primi 6 libri dell’Eneide interpretandoli allegoricamente e la sua poesia era sentita come fonte di dottrina, simbolo stesso del sapere, guida per percorrere la via della conoscenza che conduce alla Verità Assoluta, a Dio. Per questi motivi il Sommo Dante si farà accompagnare dal Sapiente Duca, suo Maestro, che tanto aveva amato e studiato. Fu talmente mitizzato da assumere l’appellativo di  “parthenias”, “vergine” e i suoi libri si trasformarono in fonti divinatorie, le cosiddette “Sortes Virgilianae”. E lui, come accennato, divenne il primo e forse unico profeta pagano del Cristianesimo.

Secondo la tradizione dai Campi Flegrei a Napoli ci sono i segni del suo intervento prodigioso, come la costruzione dei bagni termali di Baia e Pozzuoli, oppure il prosciugamento di paludi insalubri che appestavano alcuni territori della attuale provincia napoletana, rendendoli veri e propri giardini magici e rigogliosi, una sorta di “Nuova Arcadia”, rese anche le acque sorgive della spiaggia platamonia taumaturgiche e capaci di guarire ogni malanno.  Gli sono stati attribuiti anche una serie di atti magici come la creazione di una mosca e una sanguisuga d’oro che tenessero lontano dalla città mosche e sanguisughe vere, evento raccontato  nel 1160 dall’ ecclesiastico  anglosassone Giovanni di Salisbury, dopo aver visitato Napoli. Assieme ad episodi analoghi, come la creazione di un cavallo in metallo che sanasse i cavalli in carne ed ossa, un pesce di pietra che favoriva ai pescatori pesche abbondanti e via di seguito.

 

 

E’ a partire dal V secolo, come accennato, si fondono notizie biografiche con le leggende ed i prodigi, raccolti nella “Vita Virgiliana” scritta da Donato, interesse ripreso nel XII secolo. Corrado di Querfurt, vescovo di Hildesheim, consigliere di Arrigo IV, in una lettera del 1196 ad Arnoldo di Lubecca, attribuiva la conquista di Napoli al fatto che il palladio costruito da Virgilio a sua protezione, consistente in un piccolo modello della città contenuto in una bottiglia di cristallo, si fosse incrinato. Nella Cronica di Partenope, testo anonimo del XIV secolo, l’ignoto autore dedica ben diciassette capitoli alla descrizione dei prodigi compiuti da Virgilio per proteggere i napoletani. Tra questi la collocazione nelle segrete dell’allora ‘Castello di Mare’ di un uovo magico, che nascondeva l’anima della città, dall’integrità di quest’uovo custodito in una caraffa di vetro, a sua volta racchiusa in una gabbia metallica, sarebbe dipeso il destino di Napoli. Episodio questo che più degli altri ha lasciato traccia nel nuovo nome del ‘Castel dell’Ovo’. Del Castello e dell’Uovo magico-alchemico, così come di altri prodigi, parleremo di qui a breve.

Nel XIV secolo alla corte di Roberto d’Angiò detto il “Saggio”  fu realizzato un compendio sistematico sui prodigi di Virgilio Mago ”Cronica di Partenope o Croniche de la inclita città de Napole con li bagni di Pozzuoli e Ischia” di cui, come sopra accennato, non ci è pervenuto il nome dell’autore.

 

 

Tra gli altri prodigi compiuti da Virgilio a difesa di Napoli e dei suoi abitanti ricordiamo la realizzazione della “Crypta Neapolitana” realizzata dal mago-poeta in una sola notte, un’enorme galleria che collegava Napoli con Fuorigrotta per poter giungere più facilmente a Pozzuoli e scavata nella collina in tufo, chiamata da Seneca la “lunga prigione”, tanto buia che nemmeno sessantaquattro lampioni la illuminavano ma che, negli equinozi offriva uno spettacolo fantastico, il sole tramontava di fronte alla grotta e la luce riusciva ad illuminarla fino all’uscita del lato opposto. Opera attribuita probabilmente ai leggendari Cimmeri, popolo legato ai culti sotterranei  solari dedicati al dio Mitra, ed abitatore della zona cumana, da cui il nome Kummeri, ed ove Omero colloca l’antro della nota Sibilla. L’attribuzione dell’opera al Virgilio deriva probabilmente dal fatto che il sepolcro del Poeta sia allocato proprio all’ingresso di quella Grotta. Persino il Petrarca in uno dei viaggi a  Napoli chiese al re Roberto informazioni sulla realizzazione della grotta da parte di Virgilio ed il sovrano rispose con un ironico “Non credo che Virgilio sia un tagliapietre”. Interessante anche che accanto alla Crypta sorgesse una pianta di alloro che si ritenesse avere proprietà oracolari simili a quelle delfiche a causa dell’aura di Virgilio che promanava dalla tomba. La Grotta di Posillipo continuò ad essere luogo di devozione con la festa di Piedigrotta e, dietro alle immagini della Madonna o di un Santo si possono rintracciare gli antichi culti in onore di Virgilio. Ciò grazie alle grandi capacità sincretiche dei Cattolici. La Crypta è ora nel Parco che dal 1930 fu detto Virgiliano ed  ospita anche la tomba commemorativa del poeta Giacomo Leopardi, al di fuori don Pedro di Toledo fece istallare degli affreschi che rappresentavano la Madonna col Bambino e San Luca, l’evangelista medico, reminiscenza sincretica anche questa del Virgilio Taumaturgo, ed anche per evitare che avvenissero lì riti orgiastici in onore di Priapo, moderati altamente, come abbiamo detto, dalla festa di Piedigrotta.

 

 

Ancora, si racconta che avesse posizionato due teste di marmo sui lati di Porta Nolana, una con il volto triste e l’altra  con il volto allegro e a coloro che passavano sotto e guardavano una delle teste, il destino donava auspici in base alla testa che appariva per prima. Nella Cronica si fa poi riferimento al Virgilio taumaturgo,  veniva  citato un orto di erbe medicinali e magiche che piantò sul Montevergine e ancora la costruzione dei citati bagni termali di Baia e Pozzuoli. Con riferimento a questi ultimi dobbiamo tener presente che l’uso dei bagni a scopo terapeutico era molto diffuso nel medioevo e ciò, secondo alcune fonti, provocò l’ira dei medici della storica Scuola Salernitana, in quanto si vedevano spodestati del loro ruolo a causa della ferma credenza dei napoletani delle virtù terapeutiche delle acque. A tal proposito leggenda narra che tre medici salernitani,  Antonio Solimena, Filippo Capogrosso ed Ettore da Procida andarono a cancellare con ferri ed altri strumenti le indicazioni poste sui bagni, ma furono puniti perché sulla strada del ritorno, una tempesta li travolse. Si salvò solo uno di loro, che raccontò l’evento.

 

 

Torniamo ora però a quella che è la più affascinante tra le leggende che circolano circa Virgilio Mago, il Merlino nostrano. Quella di Castel dell’Ovo, sito sull’isoletta di Megaride, unita alla costa dal Borgo marinaro.  In alchimia il termine uovo, o meglio uovo filosofico, era il nome esoterico dell’Athanor,  piccolo forno chiuso di metallo o vetro nel quale avveniva la trasmutazione dello zolfo e del mercurio in oro, simbolo della iniziazione che portava alla  mutazione dello spirito, dell’ intelligenza e dell’anima dell’alchimista. E Virgilio, come accennato e descritto sopra più volte, oltre ad essere entrato in contatto con queste culture iniziatiche nel suo lungo soggiorno partenopeo, lascia trasparire nei suoi scritti questa visione di passaggio, anch’essa citata, dall’uomo vecchio, guerriero, all’uomo nuovo, umile, paziente e giusto, attraverso la venuta del Puer, del Fanciullo che schiaccia il Serpente, partorito da una Vergine e Redentore dell’umanità. Interessante che molte ricerche alchemiche avvenivano proprio nel segreto di alcuni monasteri medioevali ed è confermata la presenza di monaci, in particolare basiliani, sull’isolotto già rifugio di eremiti in epoca classica, nonché sede della villa di Lucullo, il quale aveva una vastissima biblioteca che rendeva Napoli una nuova Alessandria d’Egitto. In un antico documento si legge che un amanuense  aveva speso tutta la sua esistenza nello studio di Virgilio e le ricerche hanno evidenziato “la profonda cultura virgiliana” della classe colta e religiosa napoletana nel periodo angioino e aragonese, epoca in cui rifiorì il neoplatonismo. Non dimentichiamo, poi, che i monaci basiliani provenivano proprio da Oriente, fuggiti per la persecuzione iconoclasta posta in essere dagli Ortodossi. Napoli, inoltre, già precedentemente, nel IV e V secolo, fu la patria dei neoplatonici, che qui si rifugiarono a seguito della chiusura della Scuola di Atene ad opera di Giustiniano. In linea con ciò, e con la famosa biblioteca luculliana, la leggenda riportataci nel 1211 da Gervaso di Tilbury, professore a Bologna e frequentatore della corte di Ottone IV, che nei suoi “Otia imperialia” raccontava, tra l’altro un aneddoto alquanto strano: un inglese avrebbe chiesto ed ottenuto dal Re Ruggero d’Altavilla di poter cercare i resti del poeta Virgilio. Riuscì a scovarli in un monte e sotto il capo del defunto c’era un libro di magia. Le guardie gli impedirono di portar via il corpo del poeta, ma ottenne solo il permesso di portare via il volume del quale affermò di aver potuto, assieme al cardinale Giovanni di Napoli, leggere alcuni passi sperimentando personalmente alcune magie illustrate. Si narra che quei libri magici  siano stati trovati da Virgilio sul monte Barbaro quando era allievo di Filomeno, nella tomba del centauro Chirone, sotto  il suo capo e che da questo libro avrebbe appreso le arti divinatorie, la chiaroveggenza, la magia e le arti taumaturgiche che spese per proteggere il popolo da lui tanto amato.

Giovanni Di Rubba

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