Una visita a sorpresa insieme alla famiglia, nel giorno dell’ingresso gratuito. Poco dopo le 5 del pomeriggio il maestro Riccardo Muti entra nel Museo. Riconosciuto e salutato con affetto e ammirazione dai presenti, un giovane studente di violoncello gli chiede l’autografo, altri chiedono il permesso di scattare una foto. Muti non si sottrae mai.
La sua visita è guidata dal direttore Sylvain Bellenger che lo accompagna per le varie sale dell’importante edificio. Un confronto fra due direttori sulle speciali opere d’arte accolte dal Museo.
“Capidomonte è un luogo mi dà molta forza, mi ispira, e mi dà l’orgoglio di essere napoletano. Per quello che posso, darò una mano al museo. Ogni volta che capito a Napoli, cerco di venire qui perché qui trovo la storia di un Regno non limitata a un periodo ma una grande storia. Come musicista ho sempre sottolineato che nel Settecento soprattutto, poi anche nell’Ottocento, Napoli poteva confrontarsi allo stesso di livello di Vienna, Londra, Madrid, Parigi, non le altre città italiane che pure erano importanti, perché era la capitale di un grande Regno”.
“Oggi, come napoletano che gira il mondo, mi ribello sempre a questa immagine folcloristica della città che viene portata avanti, con delle canzoni che si piangono addosso, cantate non come dovrebbero essere cantate, ma urlate, e con l’immagine di spaghetti, pomodoro e mamma. La verità è che non abbiamo fatto molto per portare l’attenzione del mondo su Napoli”.
I visitatori sono entusiasti delle parole di Muti e lo seguono nel suo tour tra la sala dell’Armeria, il Salone da ballo dove al pianoforte il direttore non sa resistere, vi si avvicina e pigia i tasti. Il suono fa scattare il custode che lo invita a smettere di suonare poiché è vietato. L’intervento di Bellenger rassicura il custode e Muti delizia tutti con alcune note di Chopin.
Applausi e inchino finale di Riccardo Muti che si affaccia per ammirare il panorama napoletano: “Se l’America avesse Capodimonte, lo conoscerebbe tutto il mondo e l’avvicinarsi a tale patrimonio sarebbe un atto di sacralità”.