Tiziana Cantone non ha retto gli insulti susseguitesi nei mesi e ha deciso di salutare la vita.
Un suo video privato è finito in rete. Il contenuto del video è per nulla importante e non deve importare perché si può anche scaccolare, mangiare o dormire in un filmato se la condivisione delle mie gesta non è consentita. C’è differenza tra l’autorizzare chicchessia ad essere ripreso in un filmato e il dare il proprio consenso alla diffusione della ripresa stessa.
Le vittime del social non esistono, esistono le vittime della gente di m.e.r.d.a. che usa in modo deviato i social e sottovaluta la potenza di internet, forse troppo stupida ed apatica per rendersi conto delle conseguenze delle proprie azioni. Non esistono le vittime di Facebook se la piattaforma è usata dalla stessa gente di prima. E forse non esistono neanche solo le vittime ultime, quelle che dicendo “basta!” agli insulti, alle offese, allo scherno diabolico dicono al contempo “basta!” alla vita. I cyberbulli sono essi stessi vittime di un sistema troppo complesso per essere colto in ogni sua sfaccettatura, non solo quella ludica. Un vortice marcio che li ha divorati mangiando di loro ogni percezione del male infierito.
Mentre si consuma la vita di Tiziana tra le scuse dei quotidiani che all’origine presero sottogamba la vicenda e la derisione che continua sul web, un’altra ragazza è costretta a fare i conti con l’idiozia umana. Stuprata in discoteca e ripresa dalle amiche (non proprio tali) che fanno girare il video su WhatsApp. Un altro branco di portatrici di stupidità alle prese con la mania di condivisione.
E già difficile comprendere cosa spinga ogni soggetto a dare in pasto alla macchina di internet stralci della propria esistenza, inimmaginabili le motivazioni dietro la diffusione di video con immagini di uno stupro tra le risa delle pseudo compagne.
Le cose che più dispiacciono sono l’insulto delle altre donne siacon le risate durante la violenza in discoteca, sia con i commenti alla “se l’è cercata”, dispiace la creazione di pagine, anche dopo la morte di Tiziana esclusivamente dirette al diletto personale, la pecoraggine che si crea tra sconosciuti del web tutti accomunati dalla stessa idiota voglia di fare male. Chissà se ‘sti esimi pezzi di qualcosa di orrendo adesso staranno dandosi virtuali pacche sulle spalle. Avete vinto voi, contenti?
L’immenso strumento che è internet, nelle mani dei sottodotati (perché altri appellativi non sono pubblicabili), diventa un trincia carne che non guarda in faccia, un boomerang dal rinculo violento e dal rimbombo assorbante.
Ancora una volta a pagare il conto dello scempio umano, della negligenza di chi poteva fare e non ha fatto o ha fatto poco, lo paghiamo noi. È giusto che noi donne lo si sappia: l’atto del fare sesso è un bonus per loro, per i maschi tarati, e un malus per noi. La violenza la abbiamo voluta noi perché abbiamo bevuto un cicchetto di troppo, il fenomeno da baraccone creatosi attorno a noi lo abbiamo procacciato noi, perché abbiamo fatto sesso.
I maschi che tanto amano farsi fare pratiche orali hanno poi stigmatizzato Tiziana in un’immagine privata che evoca la fellatio. Le scarpe rosse che accendono fari sul numero delle violenze sulle donne a nulla bastano se anche a 17 anni si preferisce filmare e inoltrare anziché tendere una mano.
Prendiamocela con la scolarizzazione, con i tabù sul sesso, argomento ancora trattato in sordina in Terronia, prendiamocela con internet, con Facebook. Prendiamocela con la sicurezza che non tutela l’utenza del cyber, prendiamocela con l’uomo (maschio e femmina) che bistratta le donne, le deride, le addita, le violenta in ogni modo. E prendiamocela anche con noi che siamo di tutto un po’: un po’ bigotti, un po’ social-victim, un po’ violenti in ogni modo, un po’ avvezzi con facilità al “mi piace, condivido”, un po’ veloci al giudizio.
Oggi, visto che l’hashtag è cool, #jesuisTiziana
Anna Di Nola