C’era anche il boss Antonio Iovine nel commando di fuoco che in un affollato sabato pomeriggio dell’11 febbraio 1989, a San Cipriano d’Aversa, in provincia di Caserta, uccise il vigile urbano Antonio Diana, classe 1959, su ordine di Francesco Schiavone alias “Sandokan”, all’epoca boss emergente, che riteneva la vittima coinvolta nell’omicidio di un suo uomo e legata al boss Antonio Bardellino.
A fare luce su questo assassinio, per il quale oggi i carabinieri hanno eseguito sette misure cautelari nei confronti di persone ritenute mandanti ed esecutori materiali di quell’omicidio, è proprio Iovine, nella veste di collaboratore di giustizia. Diana, secondo quanto si è appreso dal pentito, sarebbe stato colui che “aveva dato la battuta”, come dicono in gergo i camorristi, era stato cioè il componente della banda a cui era stato affidato il compito di segnalare ai killer la presenza dell’obiettivo.
Il tutto avviene in un clima teso determinato dalla scissione del clan di Bardellino in cui nascono gruppi mafiosi antagonisti, tra i quali si inquadra quello di Sandokan, e in un contesto, quello di San Cipriano d’Aversa, dove la criminalità organizzata controllava praticamente tutto l’apparato amministrativo della città. Come agente della Polizia Municipale, infatti, lavorava Giuseppe Iovine (fratello dell’ex boss Antonio) mentre il fratello di Giuseppe Caterino, detto Peppinotto, (colui che per Iovine era il vero sindaco di San Cipriano, ndr) altro elemento di spicco della mafia casalese, era responsabile dell’ufficio tecnico.
Un’ordinanza di custodia cautelare è stata notificata in carcere proprio al capoclan dei Casalesi Francesco “Sandokan” Schiavone e sei tra killer e partecipanti all’omicidio del vigile urbano. Il provvedimento è stato
Il legame con il fondatore dei clan dei Casalesi Antonio Bardellino, i compiti che per il boss assolveva, tra cui la fornitura di documenti, come un passaporto, e una tragedia aerea che provocò 144 vittime, l’8 febbraio del 1989, nelle Azzorre. Le indagini sull’omicidio del vigile urbano Antonio Diana hanno riacceso l’interesse degli investigatori della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli (sostituti procuratori Catello Maresca e Simona Rossi) sulla presunta morte di Bardellino e sul tesoro del capoclan, mai ritrovato come il suo cadavere. Secondo alcuni collaboratori di giustizia, Bardellino sarebbe stato ucciso in Brasile nel maggio del 1988 dal suo braccio destro, Mario Iovine, a sua volta assassinato in Portogallo nel 1991. Una morte, quella del fondatore del clan dei Casalesi, non avvalorata da prove inoppugnabili e sulla quale c’è ancora mistero. Ad mettere in dubbio che Bardellino fosse morto contribuirono anche le dichiarazioni di Tommaso Buscetta, a cui Bardellino era legato, rese a un magistrato nel 1993.
E nella vicenda riemerge un presunto collegamento con la tragedia aerea delle Azzorre dell’8 febbraio del 1989, che provocò 144 vittime: un Boeing 707 decollato dall’aeroporto Orio al Serio di Bergamo e diretto a Santo Domingo (una delle località dove si riteneva che Bardellino si fosse rifugiato) si schiantò contro il Pico Alto, una montagna dell’isola dell’arcipelago al largo del Portogallo. Sul quel volo, secondo alcune notizie, ci sarebbe stata una persona legata a Bardellino, che aveva con se un passaporto per il boss, già all’epoca ritenuto morto. Un documento che, sempre secondo la stessa fonte, gli era stato procurato dal vigile urbano di San Cipriano d’Aversa Antonio Diana, ucciso tre giorni dopo l’incidente aereo.