Ed ecco di nuovo i Baustelle: Rachele Bastreghi, Francesco Bianconi, Claudio Brasini, ed eccoli con un nuovo pezzo, uscito mercoledì 19 in free download ma che non farà parte del nuovo album, prossimo alla pubblicazione. Gruppo nato a Montepulciano nel 1996, inizia sin da subito a proporre alcuni demo, accolti con entusiasmo dagli addetti ai lavori, molti intuiranno quel quid pluris, ma sarà solo nel 1999 che sarà inciso il primo album “Il Sussidiario illustrato della giovinezza”, uscito però nell’estate del 2000, aprendo kafkianamente, con un colpo d’ascia sul ghiaccio, il Nuovo Millennio. Si scorgono richiami alla bossa nova, new wave, elettronica vintage, musica d’autore anni ’60 e ’70, soprattutto italiana e francese. Una commistione di generi frutto di una sapiente ricerca musicale, di una voglia di innovare e di imporsi. Concepire l’arte come qualcosa di creativo, come artefici di una realtà che sino ad allora non c’era, almeno non in questo modo, non miscelata così.
Ed a vent’anni dalla loro formazione ci regalano, gratuitamente, questo pezzo, Lili Marleen il titolo, un apparente richiamo al passato, ma non è così, non propriamente, non solo, forse tutt’altro o meglio, tutto insieme e tutto perfettamente unito, in una commistione sapiente ed inscindibile. Una canzone che, come dichiarato dagli stessi, “Non è un estratto del nuovo disco non la troverete là dentro, non è una canzone d’amore e nemmeno di guerra, piuttosto le due cose insieme. Gratuita, con un clic è vostra per sempre” e, continuando sul merito e sul contenuto ” Non contiene sintetizzatori digitali, non è un punto fermo, non è un’isola: semmai la barca per arrivarci. Eccola qui. Prendetela per mano, cercate di proteggerla dal freddo o magari semplicemente lasciatela andare. È Lili Marleen”.
La storia di “Lili Marleen”, “della canzone che ispira la canzone” baustelliana è nota, nata da una poesia di Hans Leip, scrittore di Amburgo mandato al fronte nella Grande Guerra, col titolo “La canzone di una giovane sentinella” è un inno contro la guerra in cui si cita il nome di una ragazza, Lili appunto. Norbert Schultze, decide di musicarla nel 1938 e, nonostante le opposizioni del ministro della propaganda tedesco Joseph Goebbels, si diffonde a macchia d’olio, cantata praticamente da tutti i soldati del Secondo Conflitto Mondiale.
La Lili Marleen dei Baustelle non è, dunque, una cover di quella canzone, ma un pezzo sublime, onirico, postatomico, un rimando al futuro più che al passato. Un pezzo circolare, ben studiato, su voce ferma di Bianconi, alla De Andrè, ma con composizione e ritmica tutt’altro che da mero accompagnamento, come nel caso del cantautore genovese. Qui la musica si fonde con la complessità ad intarsio del testo, ricordando per certi versi le composizioni battistiane sperimentali, in cui musica e testo, inscindibili, ci trasmettono un coacervo di emozioni contrastanti, dando talora l’impressione che si sia lì per lì per afferrare un ricordo che poi subito sfuma sbocciando in un altro, in un circolo perverso e vizioso che ci trasporta come se fossimo storditi nel dormiveglia ed ancora non consci della distinzione tra realtà e sogno. Importante contributo a tale onirismo lo dà la voce della Bastreghi, che raggiunge il suo apice nella parte finale del brano, ove è quasi una coscienziale eco sublime, alla stregua delle voci femminili del gothic. E non solo testo e musica ma per godere appieno, custodire il pezzo, accoglierlo percependo qualcosa, è imprescindibile ascoltarlo guardando il video, rintracciabile tra l’altro su youtube. Un susseguirsi di immagini un po’ come ne “La misteriosa fiamma della regina Loana” che, uniti all’ascolto profondo, in dimensione quasi trascendentale, ci mostrano frammenti di ‘900, frammenti d’occidente, di un occidente ormai perduto a seguito del conflitto, di un conflitto, che ancora deve avvenire.
Chi racconta è come se dipingesse ipnoticamente un mondo che non c’è più, e nel suo rimembrare talora remiscelasse, confondesse i ricordi, quelli vissuti, quelli ascoltati per radio, in tv, su internet, non avendo più supporto. Il testo è pensato ed ispirato dagli attentati di Parigi ma va oltre, descrive la frammentazione della civiltà narrando un io confuso derealizzato e depersonalizzato. Si parte con bambini seduti in un bar, si narra di attentati, in una ambientazione simile a quella del recente romanzo di Michel Houellebecq, Sottomissione, del 2015-autore tra l’altro citato nel testo-, due che fanno all’amore in una stanza d’hotel, come se l’inizio fosse il punto di partenza per tornare all’indietro, in un tempo ormai non più né calcolabile né concepibile, si “scivola via” nel ricordo tra Guillaume Apollinaire, Joseph Kosma, Jacques Prevert, che fanno un po’ da collante nel definire l’essenza dell’io narrante, che ricorda con uno stile surreale simile ai poeti favoriti, citati tra un intermezzo immaginifico ed un altro, mostrando ancora una volta un indissolubile connessione tra chi racconta ed il tramonto occidentale di un’epoca che sarà o sta per essere. Vissuto e non vissuto, memoria e fantasia.
Il pezzo termina stilisticamente con un intreccio melodico in cui mentre si citano autori, la solita Lili Marleen, ma anche il “rien de rien” di Edith Piaf, si sovrappone il ricordo in sottofondo, a sua volta confuso, tra reale ed irreale, la fine è di nuovo l’inizio, ossia l’ultimo ricordo dell’occidente così come è ora, un vento caldo che sbatte le porte mentre suona un pianoforte, visioni apocalittiche e resurrezioni di salme, invocazioni al Dio dell’amore e degli eserciti ad un tempo, elogi alla violenza come se fossero trafiletti di telegiornale, infine i kamikaze ed il rumore dei kalashnikov.
Giovanni Di Rubba