Il dopo terremoto e gli “affari” illeciti

terremoto-amatriceIo do una cosa a te, se tu dai una cosa a me”. Pare sia questa la regola base, non scritta ovviamente, che c’è a latere dei capitolati d’appalti delle opere pubbliche, e non solo. Un do ut des” che puntualmente la magistratura accerta appena indaga su tali tipo di contratti. Una catena di Sant’Antonio che di santità non ha proprio niente. Appalti, sub-appalti, favori vari ad amici degli amici che per ringraziare della “grazia ricevuta” non lesinano in “ex voto”. Che in questo caso, per capirci, non sono piccoli oggetti d’argento regalati al santo protettore in segno di riconoscenza. Il “santo terreno” che ha fatto il miracolo ha bisogno di ben altro: soldi a gogò e, perché no, anche di qualche pulzella per cantargli in privato le laudi per il gran bene fatto.

Il 6 aprile 2009 in Abruzzo ci fu un terremoto devastante. Un po’ meno intenso di quello che ha colpito ultimamente Norcia. 309 furono le vittime, oltre 1.600 feriti e circa 10 miliardi di euro di danni stimati. Gli imprenditori Pierfrancesco Gagliardi e il cognato Francesco De Vito Piscicelli ridono di gusto al telefono la notte dell’evento sismico per gli affari che quell’ avvenimento tragico può procurare loro.

Forse non hanno riso, e probabilmente si sono associati al dolore delle famiglie per il grande dolore subito, ma certo qualche imprenditore ha pensato che il disastro del terremoto porterà lavoro, e non poco,  per la ricostruzione delle zone devastate dal sisma. Ma a quale prezzo? Al solo costo dell’impegno professionale per vincere una gara d’appalto? Oppure al prezzo molto più alto e complesso, nonché rischioso, di dover prima capire chi è il grande manovratore di quell’appalto e, ancora, come avvicinarlo e quando pagare per vincere?

In una recente intervista rilasciata al Corriere della Sera il procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone afferma, tra l’altro: “La corruzione oggi si manifesta sempre più spesso come un fenomeno multilaterale o addirittura sistemico, in cui intervengono, per trarne guadagni illeciti, oltre a pubblici ufficiali e corruttori, altri protagonisti (consulenti, professionisti, addetti ai controlli, eccetera) che lucrano ognuno qualcosa a danno, in sostanza, delle casse pubbliche”.

Chi paga tutti questi guadagni illeciti è l’inconsapevole cittadino sia con le tasse, ma anche con la vita quando, per risparmiare e lucrare sempre di più, al posto del cemento c’è qualche altra cosa che “sembra colla”, certo cemento non è.

Il problema resta sempre lo stesso: come rompere la catena delinquenziale, come evitare che i “soliti noti” continuino ad accaparrarsi appalti pubblici. Come, insomma, provare a cancellare – o almeno a ridimensionare – quel “fenomeno multilaterale o addirittura sistemico” denunciato dal procuratore della Repubblica di Roma.

Innanzi tutto la politica. Non è vero che i cittadini sono attirati sempre dal qualunquismo e dal populismo. Lo sono quando non ci sono alternative, quando non ci sono proposte convincenti, quando i partiti non riescono a differenziarsi tra di loro con mozioni credibili e soprattutto attuabili.

Ezio Tarantelli, l’indimenticabile economista ucciso dalle Brigate Rosse nel 1985, era solito ripetere un concetto a lui caro: non è vero che la gente non capisce i problemi più complessi dell’economia, tutto sta a spiegarli. Nel senso che se gli obiettivi sono giusti e chiari e, soprattutto, ben spiegati “la gente capisce” ed asseconda i politici che fanno determinate proposte, anche se queste costano sacrifici.

Il rinnovamento della politica – ma anche delle organizzazioni cosiddette di “mezzo” – dovrebbe passare attraverso personaggi non inventati e sponsorizzati solo perché possessori di tanti voti collegati ad interessi non sempre confessabili, al di là se hanno quaranta o sessant’anni, ma perché portatori d’esperienze maturate nei vari campi della società civile, soprattutto nel sociale, mai chiacchierati, né lontanamente indagati dalla magistratura. Cose impossibili? Certo difficili da realizzare, ma non incredibili. Con un personale politico di questo tipo, ovviamente a tutti i livelli, dal Comune, alla Regione e mano mano più su, anche i problemi della corruzione diminuirebbero di tantissimo.

Va subito precisato che non tutto il personale politico del nostro Paese è da buttar via, da cambiare, ci sono soggetti dalla provata probità e lealtà verso chi li ha eletti. Troppo spesso però non riescono a far sentire appieno la loro voce, subissati dagli interessi di quelli che usano la politica per fare il proprio bene e quello degli amici e compagni di cordata.

Potremmo fare tutte le leggi anticorruzione che le nostre teste riescono ad ipotizzare, potremmo mettere in campo tanti Raffaele Cantone, il problema resta: è una parte del personale politico che deve cambiare.

Elia Fiorillo

 

 

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