I sondaggisti e i giornalisti americani, senza dubbio, dovranno rivedere i loro elaborati. Contro ogni aspettativa, contro ogni anche bookmaker che davano alla sua vittoria il 9% di probabilità, Donald Trump è il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America.
A nulla sono valse le prese di posizione di star americane tutte schierate con l’altra candidata, Hillary Clinton, a nulla è servito il messaggio dell’uscente Obama che invocava di seguire la speranza impersonata dalla lady Clinton.
Mesi e mesi di manifestazioni in crescita di protesta contro la sua candidatura. Ma lui, Donald Trump, ha viaggiato spedito verso la nomination repubblicana, prima, e verso la Casa Bianca, ora.
Con lo slogan “Make America Great Again”, far tornare grande l’America, il 45esimo presidente americano ha usato se stesso come esempio, ergendosi a grande imprenditore, capace di produrre ricchezza in poco tempo.
Ma siamo sicuri che la sua carriera da imprenditore sia stata e sia così “grande”?
La sua fortuna, da lui stesso stimata, si aggira intorno ai 10 miliardi di dollari ma gli sfondoni e i fallimenti collezionati non sono mancati.
Anche durante la campagna elettorale, Trump non si è risparmiato. Offese a destra e manca, un “Miss Piggy” affibbiato alla miss Universo perché, secondo lui, troppo in carne, un’offesa a un giornalista disabile, insulti a pioggia alle donne. Il muro, che di certo non sarà eretto a protezione degli States dai messicani, è solo l’esempio lampante della personalità della potenza mondiale neoeletta.
Uno dei suoi fallimenti più imbarazzanti riguarda la laurea farlocca. Il manifesto di propaganda recitava più o meno “Iscrivetevi alla Trump University, diventerete ricchi come me”. L’iscrizione costava 35 mila dollari (già riservata a chi ricco già lo fosse), in cambio si ricevevano lezioni on line e seminari in albergo, senza alcuna autorizzazione o alcun diploma ricevuto. L’ateneo ha avuto vita breve, 2005-2010. Diversi, fra gli 80 mila allievi (compreso lo Stato di New York) gli hanno fatto causa. Molti di essi, dei matricolandi di Trump, erano nelle strade a manifestare contro lui.
L’ego di Trump non ha conosciuto limiti. Noi c’abbiamo le mutande di Corone e gli americani l’io scalpitante del biondo tinto. Nel 1989 viene immesso nel mercato, tra il Monopoli e Cluedo, tra il Trivial Pursuit e Scarabeo, Trump: the Game. Una personale versione del Monopoli, un gioco da tavolo basato sulla sua vita, nel quale qualunque oggetto portava il suo nome (i soldi, le pedine a forma di T, persino il dado aveva una T al posto del 6) e in cui lo scopo era diventare ricco come lui. Fu ritirato dal commercio (ma la domanda è “chi lo immise?”), rimesso in vendita dopo il successo del talent The Apprentice, ma non andò bene manco stavolta. Un paio di torri di cartone rendono esattamente benestanti come Donald. Manco i Rockefeller hanno osato tanto.
Per un anno, tra il 2006 e il 2007, potevano googlare GoTrump.com. Il tycoon aveva creato a sua agenzia di viaggi online, ovviamente dedicata ai super ricchi, per prenotare jet privati e ricevere una newsletters firmata da Donald con consigli turistici personali. L’anno in cui restò attivo non fu un periodo fortunato per Trump: lanciò anche la Trump Mortgage, un’agenzia di mutui; Donald sosteneva, dall’alto del suo fiuto per gli affari, che fosse il momento migliore della storia per farlo. Purtroppo, non lo era: la crisi dei subprimes, dei prestiti, colpì l’America appena l’anno successivo.
Non abbiamo finito: l’uomo con l’ego più grande del buco dell’ozono pensò che i cieli erano ancora vergini del suo marchio. Nel 1988 Trump comprò la Eastern Air Shuttle, compagnia low cost che operava sulla costa orientale, per farne una linea di lusso, con bagni in finto marmo, finiture dorate, alcol a volontà per tutti e un servizio di concierge in aeroporto. Durò quattro anni, prima di chiudere nel 1992, Trump dichiarò che la Trump Airlines non gli aveva recato nessun profitto.
Una delle regole imprenditoriali del marchio Trump è prendere qualunque prodotto e farne una versione di lusso. Nel 2007 ha messo sul mercato al Trump Steaks, carni vendute in negozi di alta gamma a prezzi esorbitanti. Non sono pervenute recensioni sulla qualità del manzo. La scatola extralusso costava 999 dollari e conteneva 24 hamburger, 4 filetti e 12 bistecche. Con la stessa cifra si può chiamare chef Cracco a domicilio e la spesa la fa lui. Ci ha provato anche con a vodka, e non è andata bene nemmeno lì. Non serviranno più il cocktail Trump and Tonic. Che peccato, chissà i suoi seguaci cosa berranno.
Qualcosa starà succedendo a Inishturk, l’isoletta al largo delle coste occidentali dell’Irlanda che, prima dell’estate, lanciò scherzosamente un appello agli americani spaventati dalla possibile elezione di Donald Trump alla presidenza Usa con un messaggio alla “venite da noi”. In molti presero sul serio l’invito spaventando i 53 (censimento del 2011) abitanti dell’isola.
Anna Di Nola