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È volato via l’ultimo Partigiano

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Se n’è andato in silenzio il «Partigiano Mario». Gennaro Inserviente, l’ultimo partigiano campano che aveva combattuto contro i tedeschi e i repubblichini durante la guerra di liberazione, all’indomani dell’Otto settembre 1943, allorché venne stipulato l’armistizio.

Gennaro è scomparso alla bella età di 96 anni e proprio quando stava per completare un nuovo capitolo dei suoi racconti di paladino della resistenza  in quel delle valli di Sondrio, in Valtellina. La, Gennaro, che era nato a Boscotrecase il 22 dicembre 1921, aveva fatto vedere quanto valeva la squadra di «Giustizia e Libertà» da lui comandata. E che per poco non era riuscito a mettere le mani su Alessandro Pavolini, il gerarca fascista ministro della cultura sotto il regime e in seguito  segretario del Partito Fascista Repubblicano dal novembre ’43 all’aprile del 1945.

Una impresa fatta di soffiate e di appostamenti che  raccontò così, a viva voce, solo qualche anno fa: «Ci fu segnalato dal Comando generale partigiano di Milano – spiegò –   che il ministro Alessandro Pavolini, capo delle Brigate nere, doveva venire in Valtellina per organizzare l’ultima difesa di quello che restava della Repubblica Sociale Italiana. Io e la mia squadra restammo due giorni interi sotto un ponte della statale Morbegno – Sondrio. C’era sempre uno di noi di vedetta pronto a segnalare  l’auto nera del gerarca.

La mattina del terzo giorno, verso le nove, venni avvisato da Benito Paganoni, uno dei miei, poco più che un ragazzo, che stava arrivando una macchina. Ci piazzammo sui lati della strada nascosti da una siepe; quando l’auto fu a circa venti metri da noi scattammo fuori per fermarla, ma questa ci sorpassò ed allora diedi l’ordine di sparare fin quando, dopo una cinquantina di metri, ridotta quasi a un colabrodo, la macchina dovette fermarsi. Ci accostammo con le armi puntate; dentro l’auto però non trovammo Pavolini ma l’industriale tessile Felice Fossati, con uno dei nostri proiettili ficcato per metà nella natica sinistra.  Con le dita gli estrassi la pallottola e lo medicai come meglio potevo con un pacchetto di medicazione che ci lanciavano gli inglesi e lo lasciammo andare via con l’autista che tremava di paura».

Lui no, Gennaro non tremava per la paura. Non temeva nemmeno la morte. Voleva solo che il suo arrivo tardasse quanto più possibile per poter continuare a raccontare, con la eccezionale lucidità di cui era dotato, quanto fosse stata avventurosa e piena di soddisfazioni, oltre che di stenti, la sua avventura terrena.

Che quella stessa terra ti sia lieve Gennaro, adesso che stai con gli uomini della tua squadra a ricordare una vita che non torna più.

 

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